Il Product Owner in un’immagine

Girovagando in rete ho trovato uno schema che riassume a colpo d’occhio il ruolo del PO, per riprendere un argomento che mi sta a cuore…

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Ha il pregio di sintetizzare le responsabilità del Product Owner all’interno dello Scrum Team.
Ripercorriamo gli eventi e gli artefatti Scrum con un focus su questa figura.

Con chi interagisce in PO

Il Product Owner è un focal point per tutti gli stakeholder di progetto.
E’ fondamentale che le richieste di clienti esterni ed interni all’azienda (ad esempio il management, i Product Manager, i Software Architect, ecc.) siano indirizzate al PO che funziona da collettore unico di richieste verso il team Scrum.

Responsabilità del Product Owner

Questo argomento richiederebbe un post dedicato data la vastità dell’argomento…
Lo schema descrive le principali responsabilità operative del PO:

Non approfondisce invece le attività di tipo più strategico quali – ad esempio – l’analisi dei bisogni degli utenti, lo studio degli scenari di mercato, la definizione della vision di prodotto, ecc.

Release planning

In questa fase il compito fondamentale del Product Owner è definire gli obiettivi della release e spiegare le principali funzionalità da rilasciare.
Un aspetto interessante – e spesso sottovalutato – presente nello schema è l’analisi dei rischi che deve essere compiuta dal PO e dal team in questa fase, attività che può migliorare sensibilmente la pianificazione.

Sprint Planning

In fase di Sprint planning il Product Owner descrive al team cosa deve essere fatto seguendo le priorità elencate nel backlog. Definisce l’obiettivo dello sprint e ripercorre le singole user stories con l’intento di rendere chiaro il tipo di utente che ne trae vantaggio, la funzionalità richiesta ed il beneficio atteso.

Daily Scrum

E’ opportuno che il Product Owner  sia presente al Daily Scrum, ma è il team ad essere protagonista di questo momento. Organizza la propria giornata e fa il punto sullo stato dell’arte.
Per questo motivo è utile che il PO ci sia (se non sempre spesso), che ascolti gli aggiornamenti e le esigenze del team senza far pesare la propria presenza.
E’ tendenzialmente un osservatore silenzioso nel Daily Scrum.

Sprint

Durante l’iterazione il Product Owner tiene d’occhio l’andamento dei lavori, verifica in corso d’opera quanto il team sta realizzando ed è disponibile per chiarimenti ed approfondimenti.

Sprint Review

Al termine dell’iterazione il Product Owner ha il compito principale di accettare o rifiutare quanto sviluppato dal team. Solo lui può decidere cosa considerare realmente “done”.
Nel corso della demo presenta agli stakeholder l’obiettivo dello sprint e contestualizza quanto realizzato all’interno della più ampia pianificazione di release.

Retrospective

Questo evento è presidiato dallo Scrum Master con l’obiettivo del miglioramento continuo. Mediante l’analisi di cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato nel corso dello sprint vengono individuate una o più azioni per ottimizzare il processo.
Il Product Owner partecipa attivamente alla retrospective insieme a tutti gli altri membri del team Scrum, portando le proprie osservazioni e proposte.

Al termine della release

Così come per i singoli sprint il PO accetta o rifiuta le storie, al termine della release è colui che tira le fila dell’intero progetto, verifica i deliverable, decide il go/no-go finale e lo comunica a tutti gli stakeholder.

Cosa mi ha insegnato il mio team

“Cosa mi ha insegnato il mio team”?

E’ il tema di un talk corale che si è tenuto durante la giornata “Agile for innovation” al Politecnico di Milano il 3 marzo.
Il tema e l’idea dello speech collettivo è opera di Fabio Armani.
Io ho partecipato al lavoro insieme ad altri 3 compagni d’avventura perché quando è stata lanciata l’idea mi è sembrato un argomento interessante da sviscerare.
Ed ecco qui di seguito qualche suggestione sul tema dal punto di vista di un Product Owner, che è una figura borderline (in tutti i sensi!) tra prodotto e IT.

Facile dire siamo Agili, difficile esserlo davvero…

Mi è capitato di vedere spesso transizioni più formali che sostanziali.
E’ un passaggio faticoso per tutti (management, product manager, sviluppatori) perché le abitudini sono dure a morire.
Anche se siete entusiasti di questo cambiamento potreste scoprire di adottare comportanti di micro-management “nascosti” sotto nuove spoglie.
Qualche esempio? Se il vostro backlog è una costellazione di storie di dettaglio o le vostre user stories hanno criteri di accettazione che sono infinite liste di dettagli e minuzie… sono segni che qualcosa non funziona come dovrebbe!

Con queste riflessioni in testa mi sono chiesta cosa posso fare io per agevolare questo cambiamento?
La domanda più importante da farsi è questa:

Come Product Owner qual è il mio valore aggiunto nel team?

Nel caso degli sviluppatori è facile rispondere: loro realizzano incrementi di prodotto, software funzionante.
Io come PO sono di aiuto se entro nei dettagli? Direi proprio di no…
Ciò che posso offrire io è il contesto, gli scenari di mercato, la visione d’insieme.
Inquadrare il singolo incremento di prodotto – ed anche il task – in una prospettiva più ampia, comunicare il tema, l’epica, l’obiettivo e il bisogno a cui cerchiamo di rispondere.
Cercare di legare il particolare al generale e viceversa può essere un’attività molto utile per la consapevolezza del team e la percezione del valore del proprio lavoro.

Prima abbiamo parlato di “smells”, ovvero i segni di qualcosa che non sta funzionando a dovere, ma…

Come ci accorgiamo che le cose vanno nel verso giusto?

Nel corso degli anni ho imparato a riconoscere 2 segnali che per me sono molto indicativi.
Uno è di tipo organizzativo e riguarda l’equilibrio tra business e tecnologia.
Nel momento in cui si raggiunge una posizione dialettica, le esigenze di entrambe le funzioni trovano ascolto e vengono integrate nel prodotto stiamo già assistendo agli effetti positivi del cambiamento di mentalità.

Tutto questo si riflette anche nel prodotto… quando ci rendiamo conto che non è costituito solo da nuove funzionalità.
Se c’è un push eccessivo sulla delivery rischiamo di dimenticare che esiste anche altro.
Il debito tecnico non scompare da solo!
Aspetti come il refactoring, le performance e la scalabilità – su cui i team di sviluppo insistono particolarmente – sono parte essenziale della qualità del prodotto e della sua sostenibilità nel tempo.
Troppo spesso il business dimentica questo aspetto… sino a quando viene messo davanti all’evidenza che anche il rilascio di una funzionalità banale richiede mesi.

Co-creazione

Quando siamo sulla strada giusta condividiamo i medesimi obiettivi ed è su questi – come azienda – che dobbiamo rimanere focalizzati.
Non ci interessa fare la spunta su un elenco di funzionalità determinate a priori; vogliamo indurre cambiamenti nel nostro utente finale e vogliamo seguire passo passo queste modificazioni tenendo conto dei feedback.
Sentiamoci liberi di esplorare delle alternative con il team.
Se abbiamo lavorato bene come product owner e siamo riusciti a trasmettere i reali bisogni dei nostri utenti accogliamo le proposte dei nostri sviluppatori perché ci possono fornire ottimi spunti e aiutare a trovare soluzioni brillanti.

In sintesi una delle lezioni più importanti che ho imparato in questi anni è che come Product Owner una volta che sono riuscita a comunicare in maniera efficace qual è l’obiettivo finale da raggiungere è opportuno che io faccia un passo indietro per lasciare al team lo spazio di crescere, diventare grande e autonomo nell’utilizzo delle pratiche agili.

Non solo user stories nel product backlog

Il backlog racconta il nostro prodotto da diverse prospettive.
Sappiamo che finché esiste il prodotto esiste un backlog e che questo è principalmente costituito da user stories, ma non tutto ciò che è contenuto nel backlog deve necessariamente essere una storia.
Lo scopo di questo artefatto è condividere cos’è il prodotto che stiamo realizzando con chi lo deve implementare, validare, utilizzare e – in generale – con tutti coloro che ne sono interessati.
In quest’ottica le user stories potrebbero non essere esaustive.

Come descrivo un’interazione complessa? E l’esperienza utente? Dove condivido i dettagli delle interfacce? Come posso dettagliare gli aspetti di performance e scalabilità del software?
Le user stories a volte non bastano. In generale tutto ciò che può aiutare ad aumentare la comprensione del prodotto e a descriverne l’utilizzo da parte dell’utente finale è un elemento utile.

Nella mia esperienza un buon backlog finisce per contenere tutti questi elementi:
user stories
interazioni
visual design
requisiti non funzionali

Non mi soffermo sulle user stories, di cui abbiamo già parlato a lungo, e che hanno lo scopo di descrivere le funzionalità del prodotto.

Interazioni

A volte le funzionalità che vogliamo realizzare comportano un’interazione complessa.
Sono i casi in cui l’utente deve ad esempio compiere più step per portare a termine un’operazione o casi in cui una singola azione provoca più effetti in diversi punti del sistema.
Pensiamo alle esperienze di acquisto, alle registrazioni mediante social, alla gestione delle proprie mail nella casella di posta.
In questo caso oltre alle user stories sulle singole funzionalità è necessario dettagliare il percorso che dovrà seguire l’utente.
A questo scopo ci vengono in aiuto i diagrammi di flusso, gli scenari e le storyboard.
Mediante questi strumenti possiamo descrivere visivamente i singoli passaggi attraverso cui transita l’utente, verificare di non avere omesso degli step fondamentali e calarci nel suo percorso per verificarne la logica ancora prima di aver dettagliato l’interfaccia.
Con l’interaction design rispondiamo alle domande: come si muoverà l’utente? che cosa potrà fare nel nostro servizio?

Visual Design

Il design è un componente essenziale del successo di un prodotto ed un aspetto sempre più rilevante nei criteri di scelta da parte dell’utente finale.
Nel mondo digitale ci sono aziende di successo che hanno fatto di questa caratteristica il proprio elemento distintivo (pensate a Apple!).
Per comunicare questo tipo di caratteristiche possiamo utilizzare svariati tool: mock-up, sketch e wireframes che emulano la navigazione e le principali interazioni dell’utente finale.
Il ventaglio delle possibilità è ampio, si va dal semplicissimo disegno dell’interfaccia a matita su un foglio di carta al .psd dell’art director definito al pixel (anche se questo livello di dettaglio è eccessivo e controproducente).
Con il visual design rispondiamo alla domanda: cosa vedrà l’utente in ogni singolo step?

Requisiti non funzionali

Definiscono le proprietà e i vincoli di un sistema.
Sono gli aspetti che riguardano – ad esempio – l’usabilità, la scalabilità, le performance di un prodotto, i tempi di risposta.
Sono spesso elementi essenziali per la soddisfazione degli utenti, a volte poco tangibili ma trasversali all’intero servizio e critici per il suo corretto funzionamento.
Sono di solito problemi non indirizzati a livello di MVP (minimum viabile product)  ed anche i primi aspetti che “saltano” quando il time to market è fondamentale nella strategia di prodotto.
Pur essendo così bistrattati sono tuttavia quelle caratteristiche che rendono solido e flessibile un prodotto nel tempo.
Ecco perché prima o poi vi ritroverete a fare i conti con i requisiti non funzionali.
Possono richiedere tempi di implementazione più lunghi rispetto alle funzionalità del servizio ed è opportuno definirli il prima possibile nel corso dello sviluppo in modo tale compiere scelte tecniche e di prodotto in linea con i vincoli che caratterizzeranno il sistema.
Solitamente i requisiti non funzionali non vengono espressi mediante la formula classica delle storie (attore, funzionalità, beneficio), bensì mediante enunciati.
Qualche esempio:
– l’acquisto dei prodotti mediante carrello deve essere disponibile anche  su browser Opera
– il caricamento della pagina di risultati di ricerca deve essere inferiore a 1,5 secondi
– l’area personale deve essere consultabile in mobilità da device Android vers. 4 e superiori
Con i requisiti non funzionali rispondiamo alla domanda: di quali vincoli deve tenere conto lo sviluppo del nostro prodotto?

In sintesi il mio consiglio è questo: non forzate all’interno di user stories qualsiasi tipo di dettaglio di prodotto.
Se avete difficoltà a descrivere una caratteristica mediante la formula who/what/why provate a chiedervi se non avete forse a che fare con requisiti non funzionali, interazioni o aspetti di visual design.
Tutti questi sono elementi determinanti della user experience finale e hanno la dignità di trovare posto nel product backlog.
Più in generale non esitate ad avvalervi di qualsiasi strumento possa generare maggiore chiarezza.
Sperimentate e divertitevi a farlo!