Gestione degli stakeholder: partiamo dalla mappatura

Diciamo la verità: spesso come persone di prodotto non siamo i responsabili diretti dei team con cui lavoriamo, non dettiamo gli obiettivi di business né scaliamo gli organigrammi nelle tradizionali posizioni di potere.

Quella che può apparire a volte come una posizione scomoda, da cui è faticoso coinvolgere le altre persone negli sforzi che stiamo tentando di portare avanti, è in realtà un’ottima palestra per esercitare uno strumento straordinario nella nostra “cassetta degli attrezzi”: l’abilità di influenzare gli altri (qui abbiamo parlato della differenza tra influenzare e manipolare).

Ma chi sono questi “altri”? Parliamo di loro, i famosi stakeholder.

La gestione proattiva degli stakeholder

Gli stakeholder sono coloro che possono influenzare o essere influenzati dalle nostre attività e – più in generale – da un’organizzazione, una strategia o un progetto.
Gli stakeholder sono tutte le persone che hanno un interesse di qualsiasi tipo nel prodotto che stiamo realizzando.

Se vogliamo capire come gestirli al meglio dobbiamo mettere in atto le medesime pratiche che utilizziamo con i clienti finali (il cliente finale peraltro è uno dei nostri stakeholder!).
Partiamo dall’ovvio: sono persone prima di tutto! E come tali hanno necessità e bisogni specifici, così come solide opinioni su ciò che vogliono ottenere e ciò che farebbero al nostro posto. E’ nostro compito prima di tutto farci un’idea di questi presupposti e indagare cos’è per loro di valore.

Se ritenete che gestire gli stakeholder sia una delle tante attività che “vi tocca” portare avanti senza magari troppo entusiasmo in mezzo alle mille cose da fare, provate a cambiare prospettiva: costoro possono essere delle risorse incredibili per il raggiungimento dei vostri obiettivi.
Hanno conoscenza dell’organizzazione, della materia e dei clienti, mezzi, relazioni, esperienza su procedure, policy e molto altro.
Capite perché investire in questa relazione può essere molto vantaggioso oltre che rivelarsi particolarmente efficace per i vostri progetti?

Mappatura degli stakeholder: 3 esempi

Da dove si parte allora?
Come sapete uno dei principi della mentalità agile è proprio la consapevolezza che nasce dall’atto di visualizzare le attività: andremo quindi a creare per prima cosa una mappa degli stakeholder.
Per fare questo potete utilizzare strumenti di qualsiasi tipo – sono sufficienti anche carta e matita – e avete a disposizione vari tipi di rappresentazione.
Oggi ne esploreremo 3 diverse insieme.

Mappa degli attori

La mappa degli attori è a tutti gli effetti una mappa mentale.
Vi suggerisco di partire dal team di lavoro che è il diretto interessato perché ha a che fare con la realizzazione del prodotto giornalmente; a partire da questo ci si estende mano a mano a tutte le varie funzioni con cui il team interagisce, dall’interno dell’azienda fino all’esterno.
Fare questa attività di mappatura in gruppo può aiutare a individuare soggetti non ovvii.

Credits Mind The Product

La mappa degli attori funziona bene anche per attori esterni.
Il principio è sempre lo stesso: partire dagli attori più vicini – le core personas – ed estendere la rappresentazione.

In generale una modalità che si rivela particolarmente efficace è creare la mappa direttamente con gli stakeholder.

Onion Map

La mappatura “a cipolla” vi offre un altro tipo di “colpo d’occhio”.

Credits Mind The Product


In questo caso posizionate gli stakeholder in cerchi concentrici sempre a partire dal team di lavoro che ricade nel centro. Potete suddividere gli “strati” della cipolla in vari spicchi corrispondenti alle differenti funzioni aziendali.
A questo punto inserite le varie persone tenendo presente che non tutti gli strati devono necessariamente contenere un nome.

La onion map vi dà la possibilità di individuare eventuali buchi nella rappresentazione o aree che contengono troppi interlocutori.

Anche in questo caso potete rivedere la mappatura con gli stakeholder stessi e chiedervi perché li avete inseriti in quella posizione? Sono d’accordo sulla collocazione?
Se vi sentite a disagio all’idea di condividere questo schema con i diretti interessati chiedetevi perché. Evidentemente c’è qualche aspetto che deve ancora essere risolto…

RACI

Infine un grande classico della mappatura degli stakeholder: la matrice RACI. Ricordo quando in una vita precedente studiavo questa tabella per la certificazione PMI.

RACI è un acronimo che sta per:

  • responsible – colui che fa il lavoro
  • accountable – chi detiene l’ownership del risultato finale del lavoro; è un soggetto che ha potere decisionale e di veto sul prodotto / progetto
  • consulted – in questo cluster sono spesso collocati moltissimi stakeholder; sono coloro che devono essere consultati prima che siano prese le decisioni
  • informed – quelli che devono essere mantenuti aggiornati; l’area dove sono sempre presenti più persone.

Nell’esempio dell’immagine potete vedere come la realizzazione del prodotto viene segmentata in attività e come i diversi soggetti giocano un ruolo differente nei vari task.
La matrice RACI può avere questo livello di dettaglio o fermarsi al grado più alto indicando una persona singola come responsible o accountable dell’intero progetto (così è come gestivamo le roadmap in lastminute.com).

Tenete anche presente che, indipendentemente dallo strumento utilizzato, la mappa degli stakeholder non è una rappresentazione statica: va tenuta aggiornata perché cambia nel tempo.
Uno stakeholder vitale all’inizio di un progetto potrebbe essere poco interessato in fase finale e viceversa.

Coinvolgere gli stakeholder dall’inizio del progetto

Qualsiasi tipo di mappatura decidiate di usare il punto chiave è capire chi sono gli stakeholder, a cosa tengono veramente e che tipo di coinvolgimento devono avere nel progetto.

Per comprendere cosa li spinge adottiamo sempre la solita procedura: dobbiamo parlare direttamente con loro, dobbiamo intervistarli per comprendere quali sono le loro aspettative nei confronti del progetto, cosa vogliono ottenere, qual è il loro contesto, le sfide che vedono.
E per essere davvero efficaci dobbiamo fare in modo che questa conversazione avvenga presto, all’inizio e non alla fine del progetto.
E’ davvero una regola di buonsenso: già solo sedersi ed avere una conversazione assieme fa una grande differenza. E’ il primo step di una gestione proattiva e moltissimi non lo fanno.

Chiudo con un piccolo suggerimento che potrebbe sembrare controintuitivo ma si è rivelato utile in diverse occasioni: partite con il proposito di empatizzare, ma non date per scontato che il vostro interlocutore abbia sempre un intento positivo nei confronti del vostro progetto / prodotto.

Esplorate la reciprocità cercando di trasmettere cosa potete fare voi per loro e rimanete in ascolto. Se scoprite che ci sono disallineamenti tra di voi potete utilizzare ciò che avete appreso sulle aspettative dell’interlocutore per ricondurre la discussione sul terreno comune degli obiettivi.

Non esiste una formula magica; si tratta di sperimentare e cercare la giusta misura.
Ogni giorno con prove ed errori crescerete nella capacità di influenzare.

Quale valore per gli stakeholder?

Questo post nasce da una riflessione su un lavoro di riprogettazione di una sezione di un sito e-commerce.
Il cliente ritiene che non si stiano cogliendo a pieno le opportunità della presenza online e decide di avviare una revisione dell’architettura informativa e dei contenuti.
Mi metto al lavoro ed il primo passo del processo è individuare il reale valore di questo intervento per gli stakeholder, quindi sia per il cliente interno sia per il cliente finale.

Il valore per i clienti interni

Dopo un veloce assessment della sezione in questione mi organizzo per alcune interviste.
I primi stakeholder sono i colleghi che lavorano in quell’area e per cui il sito e-commerce rappresenta il principale canale di vendita del prodotto.

Nel corso dei colloqui questi interlocutori tendono a focalizzarsi per lo più su cosa non funziona dal loro punto di vista (che non è detto coincida con quello del cliente finale) e a proporre soluzioni sulla base delle loro competenze digitali.

E’ perfettamente normale che accada questo, ma il mio compito come Product Owner è esplorare lo scenario a 360 gradi, prendermi tutto il tempo che serve per focalizzarmi sui problemi e tollerare in questa fase di non sapere (come diceva Einstein?).

Il mio obiettivo è fare esplicitare agli stakeholder quali sono le loro aspettative rispetto al lavoro che ci apprestiamo a fare, come sperano che cambi la loro attività quotidiana e quale risposta si attendono dai clienti in seguito a questi interventi.
Sto chiedendo loro di proiettarsi nel futuro, nello scenario in cui la riprogettazione è già avvenuta e di descrivere cosa è cambiato e come.

Ora vi sembrerà banale chiedere in anticipo “Cosa è cambiato per te?”, “Come è migliorata la tua giornata di lavoro dopo questo rilascio?”, “Cosa fanno di diverso i clienti?”. In verità le risposte a queste domande sono tutt’altro che scontate e mi permettono di cogliere una varietà di prospettive.

Nel mio caso è andata proprio così: 4 persone mi hanno dato 4 risposte affini mettendo però l’accento su aspetti differenti.
Il CEO misurerà l’efficacia in base alla crescita del venduto; il responsabile della business unit si aspetta un aumento della marginalità e un incremento del Net Promoter Score; il responsabile scientifico auspica, oltre a maggiori ricavi, un più ampio riconoscimento del brand quale leader nel settore; il marketing specialist vuole costruire pagine e campagne con maggiore flessibilità.

Come vedete è interessante raccogliere queste prospettive durante la fase di discovery per 3 motivi: da esse riusciamo a individuare una serie di problemi che non erano emersi nelle riunioni iniziali sulla riprogettazione, abbiamo la possibilità di gestire le aspettative degli stakeholder (perché adesso le conosciamo!) e sappiamo come il nostro lavoro verrà misurato in azienda.

Il valore per il cliente finale

Questo è ovviamente il punto cardinale di tutto il lavoro di riprogettazione.
Per essere certi di andare nella giusta direzione dobbiamo intervistare i clienti – possibilmente vari segmenti di clientela – così da cogliere i diversi bisogni e necessità.

Ricordate: se abbiamo individuato il valore per l’azienda ma non siamo in grado di definire quali sono i vantaggi per il cliente finale abbiamo un enorme problema. Significa che stiamo rilasciando funzionalità, ma non stiamo risolvendo problemi. In una parola: waste! Spreco.

Questo è il motivo per cui affianco sempre l’indagine all’interno dell’azienda con interviste sul campo a clienti veri e potenziali.
Negli anni ho imparato a non dare per scontato che gli esperti di settore abbiano davvero il polso del cliente (spesso è così, ma è opportuno verificare in ogni caso); preferisco sempre toccare con mano cosa significa essere nei panni dell’utente finale.
Anche qui potremmo scoprire una certa varietà di opinioni su come un prodotto, un servizio o una certa funzionalità sia in grado di migliorare la vita del cliente.

Tornando al mio caso dopo poche interviste sul campo ho raccolto alcune suggestioni su ciò che è potenzialmente di valore per il cliente finale: un’ampia scelta di contenuti, strumenti per individuare velocemente l’offerta giusta, una comparazione visuale degli item nella medesima fascia di prezzo e un processo di acquisto semplificato.

Con questa comprensione posso ora muovermi per ridisegnare l’esperienza utente, l’architettura dell’intera sezione e le funzionalità presenti nelle singole pagine.

Gli step per la creazione di valore

Adesso che ho una mappatura chiara delle aspettative interne ed esterne non mi resta che seguire alcuni semplici passi:

  1. mappare il percorso del valore
  2. riprogettare la sezione di conseguenza
  3. portare alla luce ciò che prima non c’era o era nascosto.

Mappare il percorso del valore

Per fare questo utilizzo un semplice foglio di lavoro online.
Ricostruisco il percorso dell’utente a partire dal bisogno iniziale: la ricerca della soluzione, l’atterraggio sul sito, la ricerca interna, la selezione dell’offerta, il processo di acquisto e tutto ciò che viene dopo.
Ogni casella dello spreadsheet è uno step del journey dell’utente e per ognuna di esse vado a specificare i bisogni, i problemi incontrati, le opportunità che non stiamo cogliendo, ecc.
Questo documento è la spina dorsale del lavoro di riprogettazione vera e propria.

Riprogettare la sezione del sito

Tenendo a mente i bisogni, i problemi e le opportunità vado a ridisegnare l’esperienza utente.
Personalmente amo partire da carta e matita. Uno scketch veloce della struttura e delle principali funzionalità prima di partire a costruire il wireframe con i software di prototipazione (Axure o Adobe XD).

Una volta pronto il prototipo – per quanto scarno e privo di grafica – mi piace sottoporlo agli interlocutori iniziali così da verificare se risolve effettivamente i problemi riscontrati (particolarmente rilevante è l’opinione dei reali utilizzatori del sito).
L’ultimo passo sarà la creazione del visual design e di tutti i template UI.

Portare alla luce il valore

Tutto ciò che ho individuato come rilevante dentro e fuori dall’azienda deve ora diventare visibile. Si tratta di dare risposta ai problemi e alle necessità che sono emerse.

Questo è per me un lavoro di team.
Mi piace confrontarmi con UX specialist, designers ed il tech team per capire insieme se abbiamo davvero indirizzato tutti i problemi, se siamo riusciti a rispondere correttamente alle aspettative.

A volte il lavoro di riprogettazione è anche solo questo: non sono necessarie nuove funzionalità, ma è opportuno rendere più visibile o più semplice ciò che già era presente.
Il nostro lavoro – quando è fatto bene – è per lo più un lavoro di semplificazione. A togliere.
Scusate, oggi sono in vena di citazioni…

Misurare il valore

Siamo arrivati al termine del nostro lavoro, abbiamo rilasciato la nuova versione della sezione. Come facciamo a capire se questo cambio ha avuto successo?
Io questa domanda la faccio prima, a tutti. Voglio capire sin dall’inizio sulla base di quali criteri sarà valutato il lavoro del team (in passato abbiamo già parlato dell’importanza della definizione dei criteri di successo).

Da cosa riconosceremo che questa riprogettazione è stata un successo?”, “Quale criterio di misurazione adotteremo?“.
Spesso vedo facce stranite… evidentemente sono domande inusuali!
Devo dire la verità: nei contesti in cui non c’è una cultura data-driven è normale che le persone facciano fatica ad articolare una risposta a una domanda così a bruciapelo.

Possiamo insistere provando a riformulare in altro modo: “Cosa faranno di più i clienti? Cosa di meno? Cosa diversamente?”, “Cosa inizieranno o smetteranno di fare?“.
Se ci pensate sono esattamente le stesse domande che stanno alla base della definizione degli impatti nell’Impact Mapping.
E infatti è proprio lì che vogliamo arrivare: a condividere degli impatti – ovvero le modificazioni nei comportamenti – e a formulare sulla base di questi le metriche più adatte.

I Key Performance Index corretti ci consentiranno di rispondere con dati quantitativi alla mano alle aspettative degli stakeholder interni e di misurare realmente se e come abbiamo influenzato gli stakeholder esterni.
Le stesse metriche le utilizzo per creare report mensili che condivido con il management team per monitorare l’andamento delle performance di prodotto. E così il ciclo si chiude!