Stime Agili: si parte dalla dimensione del progetto

Nel mondo waterfall la data di rilascio di un progetto – quando non è fissata da contratto – è il risultato di una pianificazione iniziale.
Con l’ausilio di un Gannt vengono messe in sequenza le varie attività da completare in base all’ordine logico di implementazione (concept, progettazione, sviluppo, test, ecc.).

Sulla base del Documento di Requisiti si fa la “lista della spesa” delle attività da realizzare, se ne evidenziano le dipendenze, si assegnano le risorse e mediando tra tempi, costi e ambito si tenta di contenere il più possibile la durata del progetto.

In questo caso le persone che prendono direttamente o indirettamente parte al progetto (gli sviluppatori in prima persona, ma anche i responsabili d’area o eventuali esperti di settore) forniscono una stima temporale delle singole attività.
La somma delle singole durate insieme alla sequenza delle stesse determina la data di rilascio finale.

Quando si utilizzano invece le metodologie Agili il primo passo per stimare la durata di un progetto consiste nel valutarne il size, ovvero la dimensione.
La domanda che si pone lo Scrum Team è:
Quanto è grande il progetto?

Per valutarne la dimensione il gruppo di lavoro deve avere un’idea condivisa  di cosa è necessario realizzare.
Una volta comprese le finalità del progetto nel suo complesso e tradotte le componenti chiave in user stories si procedere a valutarne il size mediante story points o in giornate di lavoro ideali.

Entrambe queste tecniche consentono di esprimere con un sufficiente grado di confidenza la dimensione di una user story, vale a dire l’effort necessario per realizzare la funzionalità in tutte le sue componenti.
Il team in questa fase di analisi deve porre attenzione al fatto che il peso relativo delle storie sia consistente piuttosto che alla precisione della singola stima.

Solo quando tutte le user stories del progetto sono state stimate – anche ad alto livello – si deriva una durata complessiva.
Per farlo è sufficiente dividere la somma degli story points per la velocity del team, ovvero la misura della progressione che è in grado di portare a termine in un singolo sprint.

Facciamo un esempio per chiarire: il team ha valutato che il nuovo progetto cuba in tutto 150 story points. In passato il medesimo team ha avuto una velocity media pari a 25 story points per singola iterazione. Il nuovo progetto durerà quindi 6 sprint.
A questo punto siamo in grado di prendere in mano il calendario e comunicare una data di rilascio: 6 sprint di 2 settimane significano 3 mesi di lavoro.

Ho volutamente portato l’esempio più semplice per far capire come avviene il calcolo della durata. Ci sono tuttavia occasioni in cui il team è totalmente nuovo e lavora per la prima volta assieme, oppure i confini del progetto non sono del tutto chiari in partenza.
E’ utile tener presente che le stime Agili possono esserci d’aiuto anche in questi frangenti, ma le casistiche sono variegate e meritano un approfondimento successivo.

Ricapitolando
Quando utilizziamo metodologie agili per la stima evitiamo di correre subito alle conclusioni assegnando ad ogni singolo task una durata prevista.
Partiamo sempre dalle funzionalità che rilasceremo al cliente finale (perché solo queste hanno reale valore) e seguiamo 3 step:

  1. stimiamo la dimensione di ogni user story e le sommiamo assieme
  2. dividiamo la somma degli story points per la velocità media del team (solo in questa fase iniziamo a parlare della variabile tempo!)
  3. il numero di sprint risultante ci consente di dire, a calendario, quando finiremo

Perché tanta enfasi sulle dimensioni?
Perché solo separando le due variabili di dimensione e durata possiamo garantire massima flessibilità al nostro piano di rilascio… e il Product Owner ed il Team saranno messi nelle condizioni migliori per valutare come procedere al termine di ogni sprint.

Minimum Viable Product o del valore in una fetta di torta

MVP e Release di prodotto

Nella pianificazione di una release ci si trova spesso a valutare a che punto sarà disponibile il prodotto per l’utente finale. Ma se adottate l’idea del Minimum Viable Product potreste decidere di rilasciare una “early beta” del prodotto per testare le vostre assunzioni in termini di ipotesi di valore e ricevere feedback dagli utenti quando lo sviluppo è ancora in corso.

La strategia dell’MVP presenta indubbiamente molti vantaggi: rilasciamo un prodotto (o una funzionalità) ad uno stato essenziale, totalmente “no frills”, perché desideriamo capire ciò che i clienti vogliono veramente, non ciò che dicono di volere o ciò che pensiamo vorrebbero.

Per anticipare il più possibile questo tipo di apprendimento potreste decidere di dare in mano ad una cerchia ristretta di utenti poco più che una presentazione o un wireframe.
Se non è questo il vostro caso, come spesso non lo è per me, rilascerete software funzionante ma dovrete identificare il set minimo di funzionalità in grado di comunicare il valore del vostro prodotto.

Cosa inserire in un MVP

Non è un’operazione così banale come può sembrare a prima vista…
Dovrete far comprendere a chi sviluppa qual è il valore del prodotto dal punto di vista dell’utente finale, un valore che sta nella soluzione di un problema, nella “slice” – la più piccola fetta compiuta – e non in un layer.

Questo approccio dal punto di vista di chi sviluppa è solitamente molto più oneroso perché significa aggredire più sistemi contemporaneamente invece che lavorare “a strati”.
Comporta molto più effort ma, allo stesso tempo, abbatte decisamente il rischio. Insomma, avrete la vostra bella negoziazione da fare con il tech team ma ne vale la pena.

Per rilasciare un MVP dovete concentrarvi sul COSA, su un piccolo pezzo, una singola funzionalità purché finita e funzionante. Fatela funzionare, fatela testare sul campo anche solo da un’unica tipologia dei vostri utenti e – intanto che analizzate i primi feedback – valuterete quali parti mancanti vale la pena di integrare e come.

Cos’è valore per il cliente?

Tenete presente che ciò che interessa all’utente è il servizio nel suo complesso, ma dovendo “fare a fette un elefante” nella mia esperienza ho trovato più utile un approccio verticale piuttosto che orizzontale.
In un servizio e-commerce, ad esempio, l’utente valuterà le diverse funzionalità: la navigazione nel catalogo dei prodotti, la ricerca, il carrello per l’acquisto, l’archivio degli ordini. Quale beneficio trarrebbe se il layer dei dati e quello applicativo fossero perfettamente compiuti ma non fosse possibile neanche consultare il catalogo dei prodotti?

E’ esattamente la differenza che passa tra una fetta di Sacher – per quanto piccola – ed uno strato di torta al cioccolato. Qual è più appetitosa in un uggioso pomeriggio di pioggia invernale? Cosa preferireste mangiare per merenda?
Io non ho dubbi!

P.S.: e non ditemi che non avete mai assaggiato la Sacher Torte perché se no avete ben altri problemi che individuare il vostro Minimum Viable Product …

Continuiamo così, facciamoci del male!  (… grazie Moretti!)

Mappa mentale per suddividere le user stories

Story-Splitting-Flowchart-Thumbnail

Come orientarsi tra i tanti criteri per dividere user stories di grandi dimensioni?
Mi riprometto di scrivere un post più approfondito su questo tema, ma nel frattempo ho scovato in rete questa mappa visuale che sintetizza a colpo d’occhio le alternative più comuni.
Per chi, come me, ama schematizzare informazioni e processi è un piccolo capolavoro da condividere.

Fonte: Agile For All – “New story splitting resource”