Product Ownership Camp 2014: ci risiamo!

E’ iniziato il conto alla rovescia per il PO Camp 2014!
Mancano meno di dieci giorni al secondo appuntamento italiano di questo evento, nato due anni fa dall’entusiasmo e dall’iniziativa di un gruppo di agilisti italiani ed appassionati interessati ad approfondire le tematiche della product ownership.

La sterminata letteratura presente ormai sullo Scrum e la figura dello Scrum Master non risponde ancora pienamente alle tante esigenze dei Product Owner e ad una serie di domande che nascono dall’esperienza quotidiana di lavoro con i team di sviluppo.

Quali sono le dinamiche di relazione tipiche tra il PO e il team di sviluppo? Come indirizzarle al meglio?

Come mediare in modo ottimale le richieste del cliente e l’attenzione al dettaglio tecnico dei team?

Quali strumenti concreti possono essere utilizzati dal Product Owner per comunicare più efficacemente con gli stakeholder?

Questi sono solo alcuni dei tanti argomenti approfonditi lo scorso anno dai partecipanti.

Uno degli aspetti più interessanti del Product Ownership Camp è la formula della open conference, un format che consente ai partecipanti di proporre temi di discussione, approfondire ciò che è di proprio interesse e muoversi liberamente tra le varie sessioni attive in parallelo.
Di fatto non esiste un’agenda preconfezionata di argomenti, questa emerge in corso d’opera dalle idee, dalle sollecitazioni, dalle curiosità e dai bisogni dei partecipanti stessi.

Lo scorso anno è stato affrontato anche il tema della definizione formale del ruolo del Product Owner.
L’argomento è complesso e variegato e sarà oggetto di ulteriori approfondimenti anche in questa occasione.
Uno degli obiettivi che si pone questo evento è proprio sintetizzare collettivamente un “manifesto” della Product Ownership.

L’appuntamento è a Baratti dal 12 al 14 settembre in un fantastico resort a due passi dal mare.

Sarà la seconda occasione di conoscere persone appassionate, condividere dubbi ed idee a bordo spiaggia, cercare insieme soluzioni a problemi comuni e tornare a casa più carichi che mai con tanta voglia di “cambiare tutto”…
… in meglio, s’intende!

Applicare la gerarchia al product backlog

Seguiamo o non seguiamo un processo iterativo nello sviluppo?
Se la risposta è sì controlliamo attentamente il nostro Backlog.
Non può contenere una miriade di user stories…

Un numero eccessivo di storie sono una trappola infernale perché il loro reale significato tende a stemperarsi. Apparentemente stiamo iterando, ma in realtà finiamo per seguire un piano stabilito mesi prima con le conseguenze nefaste del caso:

  • molto tempo impiegato nel dettagliare item che possono rivelarsi non necessari
  • rischio di buttar via lavoro già fatto se emergono nuove opportunità di mercato
  • rischio di nascondere nella massa di dettagli lo scope creep (o derive dell’ambito)

Se il processo è realmente iterativo non ha senso arrivare subito a questo livello di dettaglio o definire l’intero ambito con mesi di anticipo. Dobbiamo lasciarci un margine di flessibilità.
Teniamo anche presente che user stories di piccole dimensioni sono perfette nel momento in cui vanno in mano al team ma solitamente non offrono al management il giusto punto di vista in relazione ai macro-obiettivi di business.

Da qui l’idea di applicare livelli gerarchici nel product backlog che corrispondono a differenti livelli di astrazione.
Gojco Adzic – l’autore di “50 idee veloci per migliorare le vostre user stories” – propone di sperimentarne 4:

  1. i macro obiettivi di business (la cosidetta “big picture”)
  2. i singoli obiettivi di business che contribuiscono alla big picture (i cambiamenti che vogliamo indurre nel comportamento dei nostri utenti)
  3. i deliverable software che possono supportare il cambiamento
  4. deliverable più piccoli che possono essere rilasciati indipendentemente l’uno dall’altro (solo qui siamo al livello atomico delle user stories!)

Quali sono i vantaggi di questo approccio?
Sostanzialmente due: il team può realizzare uno sviluppo realmente iterativo perché lavora su item indipendenti e può reagire tempestivamente alle opportunità di mercato. Allo stesso tempo è possibile monitorare l’avanzamento in relazione agli impatti di business (l’unica prospettiva realmente rilevante per il management).

In sintesi l’esperimento che propone Adzic è di ridurre il numero di item nel product backlog e mantenere una connessione visibile con la “big picture così da poter monitorare, discutere e ricondurre in ogni momento le singole user stories ai macro-obiettivi di business.

Questo suggerimento arriva con un tempismo perfetto.
In questo momento sto proprio cercando di spostare la prospettiva del team e degli stakeholders dalla “lista dei progetti che dobbiamo fare” agli obiettivi di business che vogliamo raggiungere.
Il Backlog rivisitato in un’ottica gerarchica e multilivello potrebbe essere la risposta (c’è chi parla di 4 livelli per i requisiti). In ogni caso è un esperimento che intendo provare…

Liberamente tratto da “50 idee veloci per migliorare le vostre user stories”, ebook in progress che contiene spunti assai interessanti…

Dalla vision al Backlog con la Vision Board

Come si procede dalla vision iniziale alla formulazione delle singole user stories?
Quali sono i passi da seguire?

Venerdì 14 marzo si è tenuto al Politecnico di Milano una conferenza dal titolo “Agile for Innovation” aperta da uno speech di Roman Pichler sulla strategia agile di prodotto.

Il primo consiglio di Pichler è di non saltare subito all’esecuzione, bensì dedicare tempo alla formulazione di una strategia, a definire il percorso verso gli obiettivi prefissati.
Abbiamo una vision, una “big picture”, un’idea sfidante che è la nostra meta.
A questo punto è importante rispondere ad alcune domande fondamentali per elaborare la strategia: chi, perché, cosa, qual è il risultato atteso?

Proviamo a chiederci:

Chi sono gli utenti?
Ma anche chi sono i clienti, ovvero coloro che pagheranno per il nostro prodotto (non è detto che chi paga coincida sempre con l’utilizzatore finale…).

Per quale motivo potrebbero essere interessati ad usare il  prodotto? 

Perché dovrebbero comprarlo?

Che cosa rende unico il prodotto? 

Esploriamo la value proposition….
Quali sono le sue caratteristiche chiave?
E’ importante rimanere ad alto livello in questa fase; definiamo 3 key features, massimo 5.

Quali sono gli obiettivi di business? 

Per quale motivo dovremmo investire in questo progetto i nostri soldi invece che in altro?

Per guidarci nella risposta a questi quesiti Pichler ha elaborato un tool semplice e potente che può essere applicato in svariati ambiti:
la Vision Board.

E’ un foglio A4 che contiene una tabella divisa in 5 aree:
– la vision
– il target
– i bisogni che il prodotto soddisfa
– le caratteristiche chiave del prodotto
– gli obiettivi di business

Una volta che la strategia è delineata siamo pronti a partire?
Non ancora!
La vision board traduce l’idea iniziale in una strategia, ma prima di arrivare al backlog e alle singole user stories è opportuno prevedere una fase di test.
La strategia contiene indubbiamente delle ipotesi.
Fate un esame di quali sono le principali assunzioni che avete fatto ed elencate i possibili rischi. Metteteli in ordine di priorità (per esempio in base alla gravità dell’effetto che possono produrre) e procedete con interviste ad utenti e clienti.

Il vero lavoro è questo: non implementare il prodotto, ma testarne il prima possibile le idee e le assunzioni (un punto di vista molto simile a quello di Eric Ries…).
In questo modo la strategia non è scolpita per sempre nella pietra, ma emerge e si arricchisce in base ai feedback degli utenti.

… e se proprio doveste accorgervi di essere fuori strada, potete sempre cambiare rotta o abortire del tutto il progetto con perdite assai contenute (comunque ben prima della fase più costosa, lo sviluppo!)