I migliori libri per Product Owner: Lean Startup

Il 2011 per me è stato davvero un anno di svolta.
E’ l’anno in cui ho scoperto l’Agile e ho preso parte ad un primo pilot nella mia azienda di allora (Matrix!). Sarà per questo che sono così legata al libro di Eric Ries?
Lean Startup” è uscito nello stesso anno e per me è stato davvero una rivelazione… uno di quei libri che ti aprono un mondo. L’ho letto e riletto più volte, consumato di note e regalato con gioia.

Racconta per filo e per segno qualcosa che ai tempi avevo solo intuito durante il mio percorso professionale ma non ero mai riuscita ad articolare così chiaramente.
Ries lo fa con una leggerezza, una facilità e una trasparenza senza eguali.
Ecco perché ho deciso di partire da questo volume per inaugurare una nuova serie di post: “I libri migliori per Product Owner”.

Il libro parla del mondo delle startup (come è intuibile dal titolo), ma i principi ed i suggerimenti che contiene sono dal mio punto di vista preziosi in qualunque contesto di mercato.
Questo volume ha proprio cambiato il mio modo di pensare; mi ha illuminato con un metodo che applico istintivamente a tutti i progetti in ambito professionale e tendo a far sconfinare anche al di fuori del lavoro.

Sono 5 i concetti-chiave che mi hanno più influenzato come Product Owner e voglio ripercorrerli con voi uno ad uno. Parliamo di flessibilità, apprendimento validato, Minimum Viable Product, cicli di feedback e metriche di qualità.

Rimani flessibile

Le startup a differenza delle aziende consolidate non possono prevedere il proprio futuro perché non hanno passato e non sanno (ancora) quali sono gli approcci migliori per trovare clienti o creare un’attività sostenibile.
Per scoprire cosa potrebbe funzionare, devono rimanere flessibili. Nel loro caso adottare piani fissi con traguardi prestabiliti o fare affidamento su previsioni di mercato a lungo termine significa illudersi. Perché gestire una start-up è come guidare una jeep su un terreno accidentato: i fondatori devono costantemente cambiare direzione e rispondere rapidamente a ostacoli imprevisti e vicoli ciechi.

Come Product Owner tendo a storcere il naso quando sento parlare di roadmap “annuali” e di pianificazioni che vanno oltre i 6 mesi. Non fraintendetemi: ha tutto il senso del mondo definire degli obiettivi di business annuali o pluriannuali ma non credo che il percorso su come raggiungerli (la roadmap appunto) sia scritta sulla pietra.

Oltre l’orizzonte temporale di metà anno tutto ciò che viene dichiarato è potenzialmente soggetto a cambiamento per motivi interni ed esterni all’azienda (nuove opportunità di mercato, la necessità di rispondere alle mosse di un competitor, una ripianificazione delle priorità a fronte di determinati risultati).
Posso immaginare che nell’edilizia la pianificazione di un complesso sia un progetto che è meno soggetto a fluttuazione ma nel mondo digitale 6 mesi sono un periodo lungo in cui lo scenario può essere stravolto anche sono dall’evoluzione della tecnologia stessa.
Per questo motivo come Product Owner evito di fare piani dettagliati che vadano oltre i 6 mesi e per periodi successivi mi limito ad indicare una serie di temi (di alto livello) che saranno oggetto di sviluppo, ma che possono essere riconsiderati periodicamente strada facendo.

Rimanere flessibile mi consente di cogliere opportunità più interessanti che si presentano lungo il percorso e che non erano previste in fase iniziale o di riconsiderare le mie priorità se nuovi dati le mettono in discussione.

Non dare per scontato il valore

L’obiettivo principale di qualsiasi startup è trovare un modello di business redditizio e sostenibile.
In pratica, questo significa scoprire quali prodotti desiderano i potenziali clienti e come trasformare i loro desideri in ricavi costanti.

Alla base di ogni prodotto esistono infatti due presupposti fondamentali: l’ipotesi del valore e l’ipotesi di crescita.
L’ipotesi del valore presuppone che un prodotto fornirà valore ai propri clienti, ovvero che i primi utilizzatori troveranno e abbracceranno il prodotto.
L’ipotesi di crescita afferma che il prodotto non solo piacerà alla nicchia degli early adopters, ma troverà anche un mercato più ampio in seguito.

E’ importante comprendere che questi concetti sono ipotesi e come tali devono essere testate e convalidate parlando con i clienti. Solo in questo modo sapremo di essere sulla strada giusta per trovare un modello di business sostenibile.

Come Product Owner non posso dare nulla per scontato, anche che ciò che l’azienda ritiene sia di valore per il cliente finale. Ho spesso sperimentato che le società affermano di conoscere il loro pubblico ma presumono, a volte dimostrano anche una certa arroganza nel pretendere di sapere a priori ciò che vogliono i clienti, ma la verità è che fino a quando un prodotto non va in mano ad un utilizzatore finale non saprai mai quanto piacerà e come verrà utilizzato.

Sapete come si dice? Customer is king! Quindi la cosa più di valore che posso fare per assicurare il successo di un prodotto è lasciare da parte il mio “corporate ego”, rimanere umile, approcciare il cliente ed ascoltarlo. Tutto il resto è presunzione!
Se avete bisogno di indicazioni pratiche su come farlo le trovate in questo post dedicato alle 15 domande per costruire le Personas.

Testa le idee con esperimenti

Come si possono mettere alla prova le idee di valore e di crescita? Semplice! E’ necessario formulare ipotesi su se e come determinati prodotti avranno successo in un particolare mercato.
E’ stato questo il caso di Zappos che, prima di lanciare il suo business in rete e ben prima dell’acquisizione da parte di Amazon, ha testato l’assunzione più rischiosa di tutto il suo modello di business: “i clienti statunitensi saranno disposti ad acquistare scarpe online”.

Nick Swinmurn – fondatore dell’azienda – l’ha fatto nel 1999 creando una versione minima del prodotto (MVP), ma minima davvero. Ha rilasciato un sito “civetta”, il front-end di un negozio di scarpe online senza che esistesse alcun tipo di back-end, di infrastruttura dietro o di magazzino. Ha evaso i primi ordini acquistando e spedendo le scarpe precedentemente fotografate direttamente nei negozi.
Questo MVP gli ha permesso di verificare che l’idea di business iniziale era valida.

Sono tristemente consapevole di quanto il concetto di MVP nelle aziende digitali sia stato scarsamente compreso, spesso osteggiato e molto vituperato (… a quanto pare oggi “fa più figo” parlare di Minimum Lovable Product).

Non entro in questa polemica che richiederebbe un post a sé, ma mi preme sottolineare il principio che ne sta alla base: quando non si è ancora trovato il product/market fit, quando il valore è ancora solo un’ipotesi il MVP dovrebbe essere il più semplice possibile e contenere solo ciò che è necessario per offrire ai clienti un’esperienza realistica di come funzionerebbe il prodotto. Serve solo quanto basta per trarre utili feedback!
Qui trovate uno strumento che potrebbe supportarvi nel creare esperimenti Lean.

Diverso è il caso di un prodotto consolidato che viene riproposto in una nuova veste o riaggiornato. In questo caso il “minimum” accettabile dal cliente non è meno delle funzionalità già presenti nel prodotto. In ogni caso questo approccio può tornarvi molto utile per evitare eccessivi sviluppi upfront o gold plating.

Costruisci – Misura – Impara

Ries si sofferma a lungo sui benefici del ciclo Build – Measure – Learn (BML) in Lean Startup.


Come funziona? Si costruisce una versione semplice del prodotto, come un prototipo o uno smoke test, lo si porta sul mercato e si raccolgono i feedback dei clienti.
Con i dati quantitativi di questo esperimento si misura l’interesse per il prodotto, nel caso di Zappos quante persone hanno cliccato sul pulsante “buy” e hanno provato ad acquistare scarpe dal negozio fake.
Ciò che si impara in un ciclo completo viene utilizzato per ottimizzare il prodotto che nella versione migliorata fa partire il successivo ciclo BML.
Ci sono due aspetti importanti qui: la velocità del feedback loop è fondamentale e un prodotto non è mai finito al primo rilascio!

Personalmente credo molto nel feedback loop (e non solo in ambito digitale!).
Questo è l’approccio corretto non solo per il lancio di un nuovo prodotto, ma per qualsiasi ottimizzazione vogliate fare.
Costruite un MVP o una nuova funzionalità o una nuova interfaccia, la mettete nelle mani di clienti reali e analizzate quanto e in che modo il prodotto cambia i loro comportamenti.
Se non misurate i risultati non avete modo di imparare alcunché!

Allo stessa stregua come Product Owner utilizzo estensivamente gli esperimenti per testare varianti del mio prodotto. Gli A/B test e in generale tutti i test dai più semplici ai più complessi dovrebbero essere il pane quotidiano per chi lavora in ambito prodotto.
Anche quando avete raggiunto una buona conoscenza del target e del mercato scoprirete che i test riusciranno sempre a stupirvi. I risultati inaspettati sono all’ordine del giorno.

Cerca le metriche giuste

Definire le metriche corrette da monitorare e valutarle con costanza è fondamentale per qualsiasi startup… e per qualsiasi prodotto aggiungo io!
Solo quando vediamo i KPI di riferimento migliorare sappiamo di essere indirizzati verso il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine.
Ovviamente queste metriche possono variare – e di molto – da business a business, quindi non esiste una formula magica che possa valere per tutti.

Le metriche “giuste” sono quelle che ci consentono di capire se stiamo andando nella giusta direzione. Eric Ries sottolinea come molte startup cedano alla tentazione di utilizzare “vanity metrics”, metriche lusinghiere ma inutili o addirittura dannose che fanno sembrare un’azienda buona ma non aiutano ad avvicinarla ai suoi obiettivi.
E’ fin troppo facile farsi lusingare da tanti like su Facebook: possono essere fonte di gran soddisfazione ma questi apprezzamenti non pagano gli stipendi e non rappresentano in alcun modo un modello di business sostenibile.

Come Product Owner è mia responsabilità capire quali sono le metriche più adatte per misurare le specificità del mio prodotto. Senza dati sono totalmente cieca.
Posso avere delle intuizioni circa la strada da intraprendere, posso aver collezionato feedback dai miei utenti, ma ho in ogni caso bisogno di dati quantitativi affidabili per prendere delle decisioni informate e giustificarle agli occhi degli stakeholder.
I dati mi aiutano ad eliminare sul nascere qualsiasi guerra di opinione.

Conclusione

Le startup utilizzano un approccio semi-scientifico per testare le loro ipotesi di base e costruire un modello di business sostenibile sulle ipotesi convalidate.
Io Product Owner posso trarre vantaggio dal metodo Lean Startup decidendo di sviluppare rapidamente prototipi di prodotto e perfezionandoli continuamente attraverso il feedback dei clienti. Eseguendo cicli di costruzione, misura e apprendimento (BML) incremento significativamente le possibilità di successo del mio prodotto.

Fallisci presto, impara in fretta: sii Lean!

Build, measure, learn

Il Lean è una cultura orientata a comprendere le esigenze del cliente, ridurre gli sprechi e ottimizzare i processi, una filosofia che potremmo riassumere nel motto “massimo risultato con il minimo sforzo”.

E’ una teoria di organizzazione aziendale che integra al suo interno varie metodologie gestionali.
Obiettivo del Lean è produrre di più con un minor consumo di risorse.
Il termine “lean production” – produzione snella – è stato coniato in riferimento al sistema Toyota, l’azienda automobilistica giapponese caratterizzata da processi industriali ad altissima efficienza rispetto ai principali produttori mondiali di automobili.

Tra i concetti chiave del Lean c’è l’idea del miglioramento continuo (“Kaizen”) perseguito mediante l’applicazione di un processo ciclico in 3 fasi: sperimentazione, misurazione dei risultati e apprendimento (build, measure, learn).

Nel famoso libro di Eric Ries “Lean Start-up” viene più volte ribadito che l’acquisizione di conoscenza è cruciale per il successo di un’iniziativa imprenditoriale:

“Questo è il modo giusto di pensare alla produttività in una start up: non in termini di quanta roba stiamo producendo, ma di quanto apprendimento validato stiamo incamerando per i nostri sforzi.
Ogni bit di conoscenza che raggiungiamo ci suggerisce nuovi esperimenti da fare che muovono le nostre metriche più vicine ai nostri obiettivi.”

Un processo Lean prevede i seguenti step:

  1. Identificare cio’ che vale per gli utenti 
(per cosa sono disposti a pagare un prezzo?)
  2. Identificare il flusso del valore
    definire la sequenza ottimale delle attività per creare valore
  3. Far scorrere il flusso del valore
    eseguire le attività di valore senza inutili interruzioni
  4. “Pull” e non “push”

    fare scorrere il flusso del valore in base alla domanda, non all’offerta
  5. Puntare alla perfezione come punto di riferimento in un contesto di miglioramento continuo

Se applichiamo i principi Lean al mondo del software e in generale della progettazione ritroviamo gli step ciclici di build, measure, learn.

Dobbiamo identificare un problema o un’opportunità di sviluppo e verificare che abbia davvero valore per gli utenti (per questo è necessario acquisire conoscenza dei loro bisogni e e necessità).
Modifichiamo il nostro punto di vista e proviamo a ridefinire il problema dal punto di vista degli utenti. Mettiamoci “nei loro panni”.
Solo a questo punto – quando siamo stati in grado di avere empatia nei confronti di coloro per cui stiamo progettando – siamo in grado di fare brainstorming in maniera proficua e portare soluzioni creative.

Una volta definite la nostra idea ne verifichiamo le assunzioni (cosa stiamo dando per scontato senza averne alcuna prova?) conducendo degli esperimenti.
Possiamo creare un prototipo – il più “lean” possibile – per mettere alla prova l’idea in poco tempo e con il minimo delle risorse per testare la soluzione sul campo e raccogliere feedback quanto prima.

Il confronto reale con i propri utenti ci permette di validare l’idea iniziale raffinandola ulteriormente, di aggiustare il tiro o – in alternativa – di non proseguire oltre.
Anche una soluzione che si rivela totalmente sbagliata è un insegnamento di successo: ci evita lo spreco di realizzare un prodotto/servizio che non ha valore per l’utente finale e ci offre l’opportunità di investire meglio le nostre risorse.

A conti fatti se non puoi fallire, non puoi imparare.

Build, measure, learn

Un’idea di valore condivisa

Uno degli obiettivi primari del Product Owner è creare valore per l’utente finale e, allo stesso tempo, per la propria azienda.
Lo scopo del nostro lavoro è realizzare prodotti che rispondano ai reali bisogni degli utenti, renderli soddisfatti così da garantire all’azienda uno sviluppo sostenibile ed il raggiungimento degli obiettivi di business. Tuttavia il termine “valore” può essere interpretato in molti modi o, peggio, può non essere affatto chiaro a cosa corrisponda.

Valore per chi

Si parla tanto di valore, ma pochi si prendono il tempo di riflettere su cosa realmente sia.
Cominciamo a chiederci qual è il punto di vista che intendiamo assumere.
Il “valore” potrebbe avere un significato differente per il cliente finale, l’azienda per la quale lavoriamo, eventuali finanziatori o, ad esempio, i business partner.
Identifichiamo quali sono gli attori in campo – i cosiddetti stakeholders – e cerchiamo di definire cos’è valore per ognuno di essi. In molti casi la definizione potrebbe collimare, in altri potremmo trovarci di fronte a delle sorprese.

Valore = soldi?

La risposta può sembrare scontata, anzi spesso e volentieri lo è.
Ma stiamo davvero esaurendo l’argomento valore con l’aumento dei ricavi e la riduzione dei costi?
Vi invito a prendere il tempo che serve per analizzare più a fondo la questione.
Prendiamo il caso di un’azienda. Dobbiamo sforzarci di contestualizzare il significato di valore in riferimento al tipo di business, allo scenario di mercato, al contesto competitivo, alla maturità del settore, ecc.

Valori diversi

Facciamo qualche esempio…
Un’azienda no profit potrebbe considerare “valore” il fatto di produrre un impatto sociale positivo in un determinato ambito.
Una startup con buoni capitali alle spalle potrebbe concentrare i propri sforzi nella soddisfazione dei propri utenti chiudendo inizialmente un occhio sui ricavi.
Per un ente di ricerca il valore più rilevante è l’acquisizione di conoscenza in nuovi domini.
Ciò che intendo dire è che il guadagno potrebbe non essere l’unica dimensione rilevante anche in un contesto privato.

Valore: un significato condiviso

E’ importante che all’interno dell’azienda ci sia un’idea chiara di cosa è valore per l’azienda stessa e per il cliente finale.
Se è presente una vision può essere un ottimo punto di partenza per declinare l’idea di valore o le idee di valore.
Quando costruiamo un significato condiviso creiamo allineamento di intenti, facciamo sì che le persone abbiano piena consapevolezza degli obiettivi e possano prendere in autonomia decisioni coerenti con i criteri di valore.

Valore nel tempo

Una volta identificato cos’è il valore non sediamoci sugli allori!
Ciò che consideriamo oggi un valore primario potrebbe non avere la medesima importanza in futuro.
In fase di crescita potremmo considerare valore l’acquisizione di conoscenza sul mercato e sui potenziali utenti, la riduzione del rischio d’ingresso da parte di potenziali competitor o l’aumento della customer base.
In una fase più matura l’azienda focalizza di norma i propri sforzi sulla monetizzazione… e quindi da più peso alla dimensione economica del valore.

E voi?
Cos’è per voi valore?