Rifare da 0 una piattaforma legacy

Un’esperienza sul campo

Eccolo qui, l’ultima “creazione” del mese di Novembre.
E’ stato un periodo intensissimo sul fronte professionale e familiare ma nonostante questo sono stata particolarmente contenta di aver preso parte come speaker al Product Management Day.
Si tratta della prima conferenza italiana dedicata al Product Management organizzata da 20tab e che si è tenuta online venerdì 26 Novembre.

E’ stata una giornata intera di talk partita la mattina con l’intervento di Kate Leto su quali aspetti valutare quando si assume un Product Manager e conclusasi alle 18:30 dopo un panel dedicato al Product Growth e alla validazione.

In questa occasione ho parlato di un’esperienza sul campo di product management: rifare da 0 una piattaforma legacy. Qui sotto trovate le mie slide e una sintesi dei punti salienti del talk.

“Rifare da 0 una piattaforma legacy” – Le slide del mio intervento al Product Management Day

Quando parlo di design di prodotto io distinguo sempre due situazioni differenti:

  • quando si lavora su un prodotto completamente nuovo che non esiste sul mercato
  • quando si mette mano a un prodotto esistente che deve essere rifatto. 

Faccio questa distinzione perché nel primo caso il punto centrale è validare innanzitutto l’idea di business mentre nel secondo il prodotto o servizio esiste già ma deve essere ottimizzato. Qui solitamente non c’è un’idea di business da validare perché abbiamo già dei ricavi; il focus non è capire se il prodotto è realmente appetibile quanto valutare se la soluzione di prodotto che è stata scelta è ancora valida.

Le sfide del Legacy

Proviamo a guardare più da vicino quali sono i problemi che pone una piattaforma Legacy.
Ci troviamo spesso di fronte a prodotti o piattaforme che si basano su una tecnologia datata, che non è più stata manutenuta o aggiornata, per cui magari è sempre più difficile trovare persone che siano in grado di metterci mano.
Un altro tema ricorrente in queste situazioni è che il know-how tecnico di questi prodotti non è documentato, è una conoscenza che risiede nella testa di alcuni sviluppatori, non strutturata, non replicabile e non scalabile

Il problema non è solo tecnologico o “dietro le quinte”, tipicamente diventa un problema nel momento in cui ha una ricaduta visibile sul business: non si è più in grado di cogliere alcune opportunità di mercato.
Inoltre si vedono gli effetti nell’adozione di vecchi pattern UX o nell’approccio “feature factory” che ha reso nel tempo il prodotto non più fruibile.
Nonostante tutti questi problemi la piattaforma produce ricavi (a volte tanti!) e il business non è disposto a mettere a rischio queste revenue.
E’ la tipica situazione in cui si vuole la botte piena e la moglie ubriaca…

Il progetto di cui ho parlato è il rifacimento di una piattaforma di servizio B2B attraverso la quale si fanno assessment di tipo clinico, di tipo organizzativo o educativo.
E’ utilizzata prevalentemente da psicologi e non è accessibile a tutti perché l’utilizzo dei prodotti è consentito a persone con determinate qualifiche professionali.
La piattaforma è multilingue, presente in 16 paesi di cui il principale è l’Italia e vengono somministrati poco meno di 200.000 test l’anno attraverso di essa.

Gli obiettivi dell’azienda erano – in ordine di priorità – abbattere il rischio di business, passare a tecnologie più moderne, flessibili e scalabili e migliorare l’esperienza utente rendendo il prodotto più fruibile.

I principi del redesign

Quali sono i principi che abbiamo seguito in questo rifacimento?
Ci siamo ispirati al framework del design thinking.
Alla base di questa metodologia c’è l’idea che un prodotto o un servizio per essere innovativo ha sempre tre caratteristiche che convivono: è appetibile per l’utente finale (produce un vero valore), è tecnicamente fattibile ed è “viable” da un punto di vista business, ovvero scalabile.

Sempre in riferimento al design thinking esistono 5 fasi principali nella parte di progettazione del prodotto di cui la prima è l’empatia seguita dalla definizione, la progettazione, la creazione di prototipi e alla fine la validazione tramite test.

Nel corso del mio intervento ho mostrato cosa è stato fatto nelle prime quattro fasi poi quando è partito lo sviluppo vero e proprio è stato adottato l’approccio Lean Start-Up con un ciclo iterativo di sviluppo, raccolta dati, misurazione, acquisizione degli insight e ulteriore ottimizzazione.

Gli strumenti del redesign

Partiamo dallo strumento per eccellenza del Product Management e non solo: le domande.
Sono le domande che vi potete e dovete porre rispetto al prodotto o al servizio: chi è l’utilizzatore della piattaforma? E’ chiaro e definito? Qual è il valore che la piattaforma produce per questi attori? È davvero un prodotto appetibile?
E’ sempre bene ricordarsi che non creiamo prodotti in astratto; ciò che facciamo entra in un sistema, deve fare scopa con la più ampia strategia di business.
Nella mia esperienza le risposte a queste domande non sono così scontate come appaiono… 

In questa iniziativa siamo partiti da un assessment del prodotto.
Abbiamo preso in mano la piattaforma esistente e analizzato lo stato dell’arte. L’abbiamo indagata utilizzando vari tipi di strumenti, come ad esempio gli analytics, le interviste, il product canvas poi abbiamo spostato il focus sulle personas per meglio comprendere la voce del cliente.

Abbiamo fatto un gran lavoro sugli utilizzatori principali: gli psicologi. Siamo andati a esplorare in dettaglio la main persona; sapevamo qual era l’ambito di lavoro ma volevamo indagare meglio bisogni, convinzioni, valori, comportamenti e attività da compiere

In questa fase si esercita l’empatia ovvero stiamo cercando di metterci dal punto di vista degli utilizzatori e guardare il mondo con i loro occhi per capire quali sono gli aspetti a cui sono più attenti e i principali problemi da risolvere.

Il lavoro su chi è l’attore principale è alla base di qualsiasi attività di Product Management, richiede tempo e anche un discreto livello di approfondimento ma questa comprensione fa la differenza nel momento in cui si va a ridefinire il prodotto e a dargli nuova vita.

La progressiva definizione del prodotto

Siamo arrivati attraverso step successivi e incrementali a definire quale sarebbe stata l’experience della nuova piattaforma, un lavoro che si fa tornando ciclicamente sugli stessi aspetti prima abbozzati a un livello molto alto e poi mano a mano entrando sempre più in dettaglio. 

Siamo partiti dopo le analisi e la definizione delle personas riformulando il prodotto a partire da un concept, una presentazione di alto livello che racconta quali sono le principali novità della piattaforma per dare un quadro complessivo della proposta.

Poi si entra un po’ più in dettaglio in quella che è l’esperienza utente: abbiamo ridefinito la customer journey indicando le azioni principali dell’utente da una parte e dall’altra i touchpoint, le criticità, i bisogni nei vari step e i gap che si potevano andare a colmare. 

A partire dalla customer Journey è possibile cominciare a disegnare il flusso di interazione descrivendo come si sposta l’utente tra le varie schermate della piattaforma o tra le varie pagine se fosse un sito web. Questo è un livello di dettaglio che da già informazioni preziose al team di sviluppo, in particolar modo sugli aspetti di back-end. 

Il passo successivo è stato la creazione di un wireframe, una struttura nuda di che cosa è presente nelle varie schermate della piattaforma, quali sono i pesi relativi degli elementi all’interno di una schermata, quali sono le azioni principali e secondarie e le informazioni a disposizione dell’utente.

Infine da questo artefatto siamo passati ai template visuali e – nel nostro caso – alla creazione di un vero e proprio design system perché questo ci ha consentito di procedere molto speditamente anche nel momento in cui la piattaforma dopo il rilascio iniziale ha cominciato ad evolvere. 

Customer-obsessed… puoi davvero dire di esserlo?

Mettere il cliente al centro è fondamentale per instaurare una relazione di lunga durata, ma le parole non bastano

Il cliente al centro: quante volte vi capita di sentire questo claim? In continuazione, giusto?
E quante volte – in situazioni che non sono andate lisce – vi siete davvero sentiti al centro dell’attenzione come cliente?
Ecco, appunto… tra il dire e il fare a volte… c’è di mezzo ciò che le aziende pensano di essere ma non sono.

Il tema della customer-obsession sta prendendo piede anche in Italia e moltissime aziende – non solo Amazon – si confrontano con questo cambio radicale di prospettiva, un’evoluzione che porta la soddisfazione del cliente a rimodulare l’intera strategia aziendale.
Moltissimi professano la propria customer-obsession o customer-centricity ma nei fatti – non solo a parole – quanti lo sono davvero?

Prima delle vacanze mi sono capitate tre esperienze diverse che mi hanno fatto riflettere sul tema e che vi racconto oggi.

Customer-obsession: volevo solo un’informazione…

Un amico decide di mettere il suo bilocale in affitto; i nuovi affittuari chiedono di poter disporre di una lavatrice. La cucina – acquistata anni fa – non è predisposta per l’inserimento dell’elettrodomestico perché l’appartamento sinora è stato messo sul mercato per affitti brevi.
Il proprietario a cavallo delle vacanze ha bisogno di capire che lavatrice può inserire nella struttura della cucina e se è necessariamente legato all’acquisto di un modello da incasso.

Sul sito dell’azienda questo tipo di informazione è irreperibile, ci sono solo le dimensioni degli elettrodomestici venduti.
Si può prenotare una consulenza online (bel servizio!) ma l’appuntamento in questione ha un costo che viene stornato solo in caso di acquisto di un’intera cucina. Ma qui non si tratta di fare il preventivo per una soluzione “chiavi in mano”, semplicemente di ottenere un’informazione su un elettrodomestico.

L’amico prova a contattare l’assistenza: il numero di servizio è a pagamento; quello gratuito non risponde mai.
Una mattina ho assistito a non meno di 20 tentativi… parte il disco, si selezionano le voci corrette e quando è il momento di parlare con un operatore silenzio… nessuno risponde dall’altra parte (ci sente? non ci sente?).
L’apparecchio rimane muto per interminabili minuti e poi puntualmente cade la telefonata.
Alla faccia dell’attenzione al cliente… in fondo la persona in questione voleva solo un’informazione, un chiarimento che avrebbe richiesto non più di 5 minuti.
Ma davvero l’unica alternativa che si prospetta è quella di recarsi al punto vendita? Sul serio?

Alla fine l’informazione è arrivata da un volenteroso falegname che ha ispezionato la cucina in videochiamata. E’ stato in grado di fornire tutte le indicazioni del caso in pochi minuti senza che nessuno dei due interlocutori abbia dovuto spostarsi né perdere tempo.
Punto, set, partita!
In questo caso libero professionista batte azienda multinazionale dell’arredamento che fattura miliardi ogni anno in tutto il mondo.

Qual era il valore per il cliente?
Ottenere velocemente una risposta per poter effettuare il giusto acquisto e installarlo per tempo. Era pronto a mettere mano subito al portafoglio ma non ha trovato dall’altra parte un canale d’ascolto.

Se non rispondi ai clienti che cercano di contattarti in una situazione di bisogno puoi dirti davvero “customer-obsessed”?

Customer-centricity: rincorrere la gente per pagare

In famiglia siamo abbonati da anni ad una pay tv.
L’anno scorso durante il lockdown decidiamo di aderire ad un’offerta di contenuti particolarmente interessante e di goderci l’intrattenimento durante la forzata permanenza in casa.

Al cambio dell’offerta il provider smette di inviare le fatture mensili.
Chiamiamo per segnalare l’anomalia, il mancato addebito viene riportato almeno 6 volte. Cominciamo a far presente che – oltre ad essere una situazione ridicola in cui è il cliente che segnala il mancato pagamento – vorremmo evitare di dover pagare tutto in un’unica rata.
La situazione va avanti così per altri 3 mesi e poi – come da programma – arriva il costo tutto in una botta sola, esattamente ciò che volevamo evitare.

A onor del vero devo dire che dopo l’ennesimo contatto telefonico la situazione si sblocca e l’azienda, per ovviare al problema, ci offre due mesi di contenuti gratis.
Apprezzo molto il gesto e penso che questo sia un buon esempio di ovviare ad eventuali errori ma quanto tempo ho dovuto passare al telefono per segnalare un’anomalia?
Perché il customer care non è stato in grado di registrare la situazione la prima volta che sono stati contattati? L’informazione si è persa nel nulla.

Se non ascolti ciò che i clienti ti segnalano sui canali predisposti al contatto puoi dirti davvero “customer-obsessed”?

Customer first: sono già vostro cliente!

Alzi la mano chi non è stufo di ricevere offerte di tutti i tipi dai vari call center!
Ultimamente il mio cellulare è stato preso d’assalto.

Ho cambiato operatore telefonico da circa 8 mesi perché pagavo una tariffa mensile totalmente sproporzionata ai servizi offerti. Il nuovo è stato molto efficiente nel processo di number portability e attivazione, niente da dire… dopodiché sono cominciate telefonate a raffica per propormi…… di passare alla compagnia a cui avevo appena aderito (!!!).
Una situazione che è andata avanti non per una settimana bensì per mesi.

Ora, io dico, spesso i sistemi di CRM implementati nelle aziende sono incasinati e talvolta sfuggiti al controllo ma nel momento in cui vi segnalo più volte (non meno di 8) che sono già vostra cliente volete fare qualcosa per aggiornare questo benedetto dato?
Da dove diavolo attingono i contatti i call center? Possibile che non ci sia un qualche processo di normalizzazione dei dati – anche ex post – che faccia evitare di perdere tempo a voi e di infastidire i già clienti?

Il cliente al centro sì, ma non dei vostri casini!

Anche qui stiamo parlando di una realtà che ha quasi 500 milioni di clienti in tutto il mondo… non posso credere che in un’azienda di simile portata le lead vengano trattate con tanta superficialità!

Se neanche sai che un tuo cliente è un tuo cliente puoi dirti davvero “customer-centered”?

La customer-centricity come azione

Io penso che prima di proporsi come customer-first sia opportuno per qualunque realtà professionale fare un atto di realismo e capire qual è davvero lo stato dell’arte dal punto di vista del cliente.
Anche solo realizzare una user journey e analizzare dove e quando il servizio non è all’altezza delle aspettative può fare una grande differenza.
E’ un primo passo per mettersi in discussione e ci sono frotte di clienti che sarebbero più che felici di aiutare le aziende nella risoluzione.

Essere customer-obsessed non è uno stato dal mio punto di vista, bensì un’azione, una tensione costante a fare meglio. E’ un processo kaizen, di miglioramento continuo.

Diventare customer-centric non è una moda né uno scherzo; è un processo che richiede tempo e rivoluziona nelle fondamenta la cultura aziendale.
Nessun cliente pretende che questo avvenga in pochi giorni, ma tutti vogliono vedere uno sforzo reale verso questo risultato dalle aziende che si dichiarano tali.

Fatti, non parole!
Altrimenti la customer obsession o customer centricity è solo l’ennesimo hashtag di marketing, opera di belletto, forma priva di sostanza.

Non sarebbe più serio dichiararsi customer-curious e far partire un processo di apprendimento?
Con meno arroganza, presunzione di sapere cosa “è meglio per il cliente” e auto-centrismo si potrebbero costruire collaborativamente dei prodotti straordinari. Non pensate?

Riferimenti

Ecco qualche link se volete approfondire il tema:

Da quando l’architettura informativa è passata di moda?

Oggi è uno di quei giorni in cui mi sento… “vintage”, diciamo così…
In questo periodo mi capita di lavorare con diverse agenzie esterne, alcune per la parte di UX e UI di nuovi servizi, altri per la parte di sviluppo, altre ancora che devono semplicemente declinare dei template fatti e finiti inserendo contenuti in lingua.
E proprio quest’ultima esperienza è quella che mi ha fatto sorgere grosse perplessità.

Ho visto un processo al contrario: la creazione dei contenuti ha tenuto decisamente in poco conto la struttura precedentemente condivisa del sito. Per certi versi l’ha addirittura stravolta senza però proporre un disegno alternativo.

La mia domanda è: com’è possibile pensare di sviluppare dei contenuti senza ragionare sull’architettura informativa del sito?
Per me questo approccio non ha alcun senso.

L’architettura dell’informazione riguarda il modo in cui informazioni, documenti, beni e servizi sono organizzati all’interno degli spazi (digitali e non) per favorire l’orientamento dell’utente, la reperibilità dell’informazione stessa, la comprensibilità e l’usabilità.

L’importanza di organizzare lo spazio informativo

Quando ho iniziato a lavorare in ambito digital – ormai decenni fa – non c’erano ancora tutte le metodologie e gli approcci strutturati che ci sono oggi. Il mio mentore era un architetto con una grande passione per il mondo digitale e l’attitudine da ricercatore universitario quale in effetti era.

Correva l’anno 2000 e ciò che facevamo ai tempi in ambito digitale era il corrispettivo di un lavoro pionieristico. Architetture informative, interaction design, progettazione di interfacce erano termini inusuali, attività che portavamo avanti sperimentando con gli strumenti e le modalità.
Ma c’era già un punto fermo: tutto parte dalla progettazione dello spazio nel suo insieme. Prima di entrare nei dettagli bisogna avere chiaro il disegno nel suo complesso.

Una volta che avete quello tutti i pezzi vanno poi ad incastrarsi come in un puzzle.
Si parte dalle fondamenta nella costruzione, non dalla decorazione d’interni.
La struttura d’insieme prima dei singoli ambienti.
La mappa del sito prima della UX e della UI, non il contrario.

Il percorso della progettazione

Questi insegnamenti a distanza di anni sono tuttora validi; costituiscono basi solide per la progettazione di qualsiasi tipo di servizio.

E ancora oggi procedo così: la prima cosa che faccio se devo riprogettare un servizio esistente è sempre andare a mapparlo. Sia esso un sito o un’applicazione più complessa non posso ragionare chiaramente se non sono consapevole di com’è articolato.

Stessa cosa mi capita quando si tratta di progettare un prodotto ex-novo. Subito dopo la fase di discovery e la raccolta dati cominciamo ad abbozzare la struttura.
Non è detto che sia “buona la prima”; anche su questo artefatto potrà essere necessario iterare più volte.
Personalmente mi piace partire da un’idea sulla base degli insight raccolti, schizzare un disegno, confrontarmi con il team di sviluppo e gli stakeholder per raccogliere vari punti di vista e arrivare alla fine ad una mappa che farà da guida per tutti i passaggi successivi.
E’ con questa mentalità che approccio ancora a tutti i lavori.

Qui trovate un paio di esempi di ciò che intendo per architettura informativa.
Il primo è uno schema della struttura di una rivista scientifica.

Architettura informativa di una rivista scientifica

Il secondo una mappatura delle funzionalità di un Back-Office.

Il valore della mappatura

Per quanto mi riguarda il tempo impiegato in questa analisi è ben speso perché a partire da questi schemi posso progettare con efficacia e controllo cosa andrò a cambiare, come e che tipo di effetti mi aspetto di produrre sulle metriche del servizio.

Ecco perché sono spiazzata quando mi capita di imbattermi in proposte senza capo né coda… non riesco ad orientarmi! Né a tacere a dire il vero…

Si dice “se non lo sai spiegare in maniera semplice significa che non l’hai capito abbastanza” ma parafrasando posso dire “se non sei in grado di tradurre la tua idea in uno schema, forse hai ancora della confusione in testa”.

Mi trovo davanti pagine e pagine di testi con una sequela di keyword dove però non è chiara la relazione tra i contenuti, né tantomeno come dovranno essere calati su una struttura esistente. Oppure wireframe incoerenti che vengono costruiti senza una solida mappa sottostante.

Quindi vi chiedo: davvero l’architettura informativa è passata di moda? E se conoscete delle valide alternative vi va di condividerle? Io senza un’organizzazione logica e semantica dell’informazione nello spazio digitale navigo nel buio.