Personas: cosa sono e come migliorano il tuo prodotto

personas

“La cosa importante – diceva Einstein – è non smettere mai di fare domande… non perdere mai una sacra curiosità”.
Ammetto che mi è sempre piaciuta l’idea del “question everything”, sarà per la mia natura anticonformista.

E’ con questo spirito che scelgo di approcciarmi a nuovi progetti ed è da qui che riparto tutte le volte che ho a che fare con un nuovo prodotto da gestire.
Un recente cambio di lavoro e di settore di riferimento mi ha dato l’opportunità di tornare sul campo hands-on e di rispolverare passo passo la costruzione delle Personas.
Sia chiaro: io ne parlo qui in riferimento alla progettazione di prodotti digitali ma tenete presente che le Personas sono uno strumento che può essere utilizzato con gran successo anche fuori dalla rete.

Conosci i tuoi clienti?

Sei in grado di rispondere a questa domanda?
Quando realizzo che non so replicare a “chi sono i nostri clienti?” in maniera sensata mi rendo conto che ho dei compiti a casa da fare.

Se mi confronto con un nuovo dominio è il primo interrogativo che ho in testa.
La ragione è semplice: non posso creare un prodotto efficace per utilizzatori di cui so poco nulla.
Capire chi sono, cosa li motiva, quali difficoltà incontrano e in generale come vivono la loro vita mi aiuta a calarmi nei loro panni, a pensare secondo i loro schemi, a immedesimarmi in loro nella soluzione dei problemi. In una parola a empatizzare.

E’ questo il presupposto di qualsiasi strategia customer-centric. Termine inflazionato di questi tempi – lo so – ma a dispetto delle aziende che amano appropriarsene e poi rifuggono dal metterlo in pratica, noi siamo tutti consapevoli che senza l’ascolto dei “customers” non potremo mai definirci customer-centric.

Cosa sono le Personas

Questo termine è entrato ormai da tempo nel lessico di product owners, product managers e marketers.
Cosa sono le Personas? Sono archetipi dei nostri utenti con precise caratteristiche socio-demografiche, psicografiche e comportamentali.
Ad introdurre questo concetto è stato Alan Cooper più di trent’anni fa nel suo libro “The Inmates are running the Asylum”.

“There is a colossal opportunity for companies to break this logjam and organize around customer satisfaction instead of around software, around personas instead of around technology, around profit instead of around programmers.”

Le Personas sono utenti fittizi ma verosimili che riflettono diversi tipi di clienti con tratti caratteristici. Sono uno strumento particolarmente utile per rendere l’offerta – qualsiasi tipo di offerta – più rilevante per la clientela reale.

Personas: profili che nascono dalla sintesi di più clienti

Le personas sono da una parte dei profili immaginari perché nascono dalla sintesi delle voci di più clienti reali e/o potenziali, allo stesso tempo tuttavia costituiscono rappresentazioni molto vivide del pubblico di riferimento perché ne offrono un identikit a 360 gradi.

Questo è ciò che ottenete al termine del processo: delle biografie relativamente dettagliate del vostro pubblico di riferimento, un ritratto basato su dati reali.
Il risultato finale è quindi molto di più di una definizione del target basata su età, genere, provenienza e composizione del nucleo familiare; con le personas delineiamo anche le sfumature psicologiche che stanno dietro a comportamenti, obiettivi, ragioni d’acquisto, paure e più in generale al sistema di valori.

Perché usare le Personas

Nel momento in cui riusciamo a comprendere le motivazioni, le priorità e i bisogni che spingono gli utenti-tipo a rispondere ad una determinata necessità siamo in grado di personalizzare la risposta ed orientare le scelte di marketing, design e sviluppo in maniera coerente.

Le Personas diventano il filo conduttore che sta dietro ad ogni decisione di prodotto (soprattutto su cosa va escluso dal prodotto stesso!) proprio perché non creiamo soluzioni in astratto, ma strumenti utilizzati da persone reali. E queste persone compiono continuamente scelte sulla base della propria personalità e dei propri valori.

Se ci pensate è lo stesso principio della comunicazione efficace: per trasmettere correttamente il mio messaggio devo tenere conto del pubblico che mi ascolta e costruire un discorso che possa risuonare per l’audience.

Nella creazione di nuovi prodotti o nel processo di miglioramento di quelli esistenti mettiamo in pratica il medesimo principio: prima ci prendiamo in tempo di conoscere meglio il nostro pubblico e solo quando ne abbiamo compreso i bisogni e le motivazioni che li spingono o li allontanano dalle soluzione esistenti siamo in grado di portare a termine il nostro obiettivo con efficacia.

Una volta create le Personas non è inusuale vedere interi team interrogarsi sul senso di un prodotto: cosa vuole ottenere esattamente la mia Persona? Quali obiettivi deve raggiungere? Sceglierebbe una soluzione di questo tipo?

Avviene – finalmente! – quel cambio di prospettiva che ci fa mettere da parte il nostro punto di vista e la nostra esperienza personale per adottare la prospettiva di chi ci guarda e utilizza magari per la prima volta. Quell’atteggiamento mentale necessario (ma non sufficiente) per creare il giusto prodotto, produrre una comunicazione coerente e accattivante e prioritizzare correttamente le opportunità di vendita.

Quali elementi caratterizzano le personas

Come abbiamo detto stiamo creando un ritratto dell’utente-tipo, quindi non possono mancare una serie di elementi chiave.
La Persona ha un nome (fittizio), un volto (l’immagine è un’ancora importantissima) e una vita. Descriviamola!
Dobbiamo sapere dove vive, che età ha, se ha famiglia e figli, che studi ha fatto, quale professione svolge, in che contesto.

Non ci interessa solo l’ambito dei doveri. Dobbiamo sapere come passa il suo tempo, quali sono i suoi interessi, i suoi hobby, quali sono i suoi obiettivi e i sogni nel cassetto.
Può sembrare inizialmente un esercizio aleatorio, ma non lo è in realtà.
Queste informazioni ci offrono dati oggettivi e ci consentono di inquadrare la persona nel suo contesto di riferimento. Mano a mano che si procede emergono delle corrispondenze, dei pattern.

Infine vogliamo capire meglio quali sono i suoi valori di riferimento: da cosa è motivato? Cosa lo fa sentire soddisfatto? Cosa di ciò che fa è particolarmente rilevante e per quale motivo? Alla stessa maniera delineaiamo anche i problemi che si trova ad affrontare e le sue frustrazioni.

Qui trovate un esempio di Persona con diverse informazioni di dettaglio. A breve seguirà un post con i migliori template di Personas scovati in rete.

Quante personas creare?

Per me la risposta esatta è “mai strafare” o, se preferite, “poche ma buone”!
Il lavoro sulle Personas se ben fatto richiede tempo e il giusto grado di approfondimento. Ecco perché non ha senso – soprattutto all’inizio di questa avventura – segmentare troppo.
Di norma si consiglia di sviluppare le due/tre Personas principali e di lasciare in secondo piano tutto il resto. Ovvio però che il numero perfetto non esiste e solo voi siete in grado di capire cosa sia meglio per la vostra offerta. Più complesso è il prodotto o il servizio, più il numero delle Personas tende a crescere.

In ogni caso vi suggerisco di partire sempre con un set ristretto ed eventualmente, una volta validate le Personas principali, potete valutare se aumentarle gradualmente andando a coprire anche i profili secondari.
Io personalmente ho sempre evitato… preferisco piuttosto curare un altro aspetto, ovvero assicurarmi che i profili creati siano manutenuti nel tempo.

Sì perché le Personas evolvono nel tempo acquisendo sempre più dettagli, ma possono anche essere influenzate dalle innovazioni tecnologiche o dalla nostra offerta che nel frattempo è cambiata, si è ampliata, ecc.
Questi cambiamenti non avvengono con grande frequenza, ma un’evoluzione nel tempo c’è ed è questo il motivo per cui è necessario tenere le Personas aggiornate e ri-validarle periodicamente.

Quali tipi di Personas esistono

Esistono diversi tipi di personas. Potreste ad esempio avrete sentito parlare di customer persona oppure di user persona e buyer personas.
Il principio di base rimane sempre lo stesso: si tratta di andare ad affinare il profilo di chi entra in contatto con i nostri prodotti o servizi e ha delle necessità specifiche.

Lo User Persona è chi interagisce direttamente con il prodotto, ad esempio l’utilizzatore di un sito web, di una APP o di un prodotto fisico. E’, appunto, colui che lo usa.
In ambito B2C spesso la user persona coincide con la buyer persona, ovvero con chi effettua direttamente l’acquisto. Ma potrebbe anche non essere così. Ad esempio se acquisto un gioco della Playstation per mio figlio, un cellulare nuovo per mio padre o magari un viaggio regalo per qualcuno.
In questo caso chi acquista non è la stessa persona che fruisce del servizio o utilizza il prodotto e in termini di comunicazione questa distinzione è importante.
Le leve per spingere all’acquisto una buyer persona possono essere molto diverse dai vantaggi per cui un utilizzatore vuole un certo prodotto.
Gli obiettivi sono diversi!
Chi compra può essere attento ai costi e ai benefici che l’acquisto può produrre; gli utilizzatori sono magari più interessati alla facilità d’uso, alla praticità o all’immagine che un prodotto trasmette.

In ambito B2B è molto frequente che le due figure non coincidano ed è importante distinguerle nella progettazione del prodotto e del processo d’acquisto perché questi interlocutori entreranno in contatto con touchpoints differenti.
Addirittura gli utilizzatori potrebbero non avere alcuna voce nel processo decisionale. Pensate al caso in cui un’azienda decida di utilizzare un nuovo programma per l’inserimento delle richieste d’acquisto. In questo caso gli utenti non hanno scelto in alcun modo il prodotto. Se lo ritrovano e sono obbligati ad utilizzarlo senza poter dire la loro.

Come costruire le personas

Nel prossimo post vedremo come raccogliere e sistematizzare le informazioni utilizzando diversi strumenti.
Possiamo avvalerci del parere degli esperti, di interviste, sondaggi e – per i prodotti digitali – anche delle tante tecnologie a disposizione.
L’utilizzo congiunto di questi tool vi consente di validare le ipotesi che farete sulle vostre Personas con la massima efficacia.

Backlog declutter 2: come mettere ordine tra le user stories

Come scegliere i requisiti da tenere seguendo il criterio della felicità… dei clienti!

Questa è la seconda parte di un post dedicato al declutter del backlog.
Qui, se ve la siete persa, trovate la prima parte.

Ci siamo lasciati parlando di user stories che hanno campeggiato troppo a lungo nel product backlog senza mai essere state portate in priorità. 
Vediamo quali altri casi sono buoni candidati per l’eliminazione.

Le user stories che ho nel mio backlog  hanno individuato un soggetto reale?
Stiamo parlando di persone o di moduli?
Si tratta di un’attività di valore?
Abbiamo individuato un reale bisogno o solo una soluzione tecnica?
Queste storie sono ottimi spunti per fare pulizia.
E poi la coerenza con la strategia generale. Potremmo avere in realtà degli item così vecchi che sono ormai superati perché le strategie aziendali hanno preso una direzione differente.

Sono tutte considerazioni che possiamo fare.
Non temete di eliminare troppo, non rimarrete mai senza nulla…
Se invece vi sentite sopraffati dall’impresa non scoraggiatevi. 
C’è sempre chi ha affrontato di peggio, come nel caso di una transizione a LESS in cui si è passati da 508 item a 23 user stories. Qui probabilmente si erano spinti un po’ troppo in là con la granularità, però è un buon esempio del fatto che è possibile fare un’operazione significativa di pulizia. 
Come? Seguendo gli step che stiamo percorrendo noi… hanno fatto un lavoro colleggiale, hanno stampato tutti gli item e li hanno classificati, che è esattamente il passo successivo.

Adesso con tutte le card davanti a noi concentriamoci su quali criteri utilizzare nel processo di eliminazione.

Categorizzare le user stories

Per fare ordine dopo la fase dell’eliminazione si passa al categorizzare. 
Riordinare per categoria è un altro principio cardine nella gestione del clutter fisico. 
Non si riordina stanza per stanza ma categoria per categoria: vestiti, libri carte, ricordi.
Andremo a individuare delle categorie e a classificare gli item uno alla volta. 
Ognuno di voi dovrà trovare il criterio che meglio si adatta al proprio caso. 

Ecco qualche idea: categorizzate per epiche, step dello user journey, impatti, stakeholder o obiettivi di business. Potete focalizzarvi sul contenuto, sul valore, sugli interlocutori e molto altro. 
Il mio consiglio fondamentalmente è di provare varie classificazioni e vedere quella che meglio si adatta al vostro caso. Personalmente ho iniziato utilizzando gli step del processo poi mi sono resa conto che non era esattamente ciò di cui avevo bisogno, era troppo vincolante mentre mi sono trovata molto meglio con quelli focalizzate sulla parte dei contenuti.

Mettere a confronto

Una volta che siete riusciti a categorizzare le vostre storie dovete fare un lavoro all’interno di ognuna di queste categorie e procedere per confronti.
In sostanza avete definito dei sotto raggruppamenti nel backlog e in ognuno di questi fate un lavoro di prioritizzazione.
Potreste scoprire anche in questa fase che qualcosa può essere ancora eliminato. Ad esempio se provassimo a vedere ognuna di queste categorie attraverso il principio di Pareto qual è il 20% delle user stories che producono 80% del valore?
Quali sono dei must? Quali should o could?
Siamo in grado di individuare i must-have per gli utenti e quelle storie che invece possono fare la differenza ed essere dei delighters?
Trovate il focus!
Provate a riconsiderare ognuna di queste categorie sulla base di varie tecniche di prioritizzazione. Più una… che ho tenuto a parte.

La felicità come criterio di scelta

Questa è un’idea mutuata proprio dal declutter: non dovremmo scegliere che cosa buttare bensì scegliere cosa tenere. E il criterio in questo caso è conservare solo ciò che ci rende felici, che ci fa sentire bene, che ci risuona emotivamente.
Non voglio prendere una deriva new-age fricchettona, dico solo che questa idea può essere trasposta nella gestione del backlog.
Quanta felicità una determinata storia porta ai nostri utenti?
In una scala di felicità siamo sicuri che l’ordinamento che ci siamo dati sia quello corretto? Riesco a produrre un impatto significativo nei miei utenti?

Continuare a prendersi cura

Bene una volta che abbiamo fatto questo repulisti, abbiamo organizzato i nostri item per categorie e abbiamo dato anche un ordine di priorità guardiamo con un occhio più attento ogni singolo elemento che abbiamo conservato.

Dobbiamo verificare che sia tutto effettivamente in ordine. Andare a vedere se ognuno di questi item che abbiamo conservato è completo, ha la struttura corretta, se abbiamo individuato realmente chi sono gli interlocutori e quali sono i loro bisogni.
E capire se sono coerenti con lo scenario attuale.

Una delle cose che si possono fare è focalizzarsi sulla prossima release di prodotto e cercare di associare al backlog una roadmap di prodotto per gli sviluppi più avanti nel tempo. 
Anche qui facciamoci delle domande per verificare che effettivamente quello che abbiamo conservato sia in buono stato: abbiamo tenuto conto di tutti gli interlocutori?
Abbiamo individuato bisogni espliciti ed impliciti?
Tutto questo è coerente con la strategia più generale?

Dopodichè non ci resta che…

Evitare le ricadute

Bisogna evitare di tornare nella situazione dalla quale siamo partiti. Come possiamo farlo? Dobbiamo avere attenzione nei confronti di ciò che a questo punto entra all’interno del backlog. E qui possiamo cogliere diversi spunti.
Diamoci una finestra temporale. In un armadio teniamo i vestiti per la stagione in corso, perché non nel backlog?
Facciamo in modo che il nostro backlog sia focalizzato sui prossimi tre mesi massimo sei mesi magari.

Utilizziamo un criterio che definisca esattamente che cosa è pronto per il backlog e tutto quello che non lo è può essere inserito in una sorta di waiting box / may be box (un contenitore dove inseriamo tutta una serie di buone idee da cui potremmo andare a pescare successivamente).

Teniamo sott’occhio la ratio delle cose che entrano ed escono oppure diamo un limite esplicito al nostro backlog. Alcuni ad esempio si impongono una certa soglia oltre la quale non andare proprio perché appunto la visione complessiva del backlog si sfilaccia.

Vedere l’ordine

Un altro suggerimento che potrebbe esservi d’aiuto nel mantenere l’ordine è tenere sotto controllo il backlog utilizzando diverse modalità di visualizzazione.

Chi ha letto il libro di Marie Kondo sa che uno dei consigli più preziosi e totalmente controintuitivi è disporre gli indumenti nei cassetti in un modo diverso che uno sopra l’altro bensì in verticale.


Questa idea mi ha fatto riflettere e mi sono resa conto che a volte siamo troppo condizionati dalla strumento che utilizziamo per gestire il backlog.
Proviamo ad andare oltre jira e tool simili che mostrano il backlog come una lunga lista di item.
Vi invito a sperimentare modalità alternative che tengano conto non solo della quantità ma anche del contenuto del backlog.

Non voglio sapere semplicemente quanti item ho ma vorrei capire anche meglio come sono distribuiti sui vari contenuti.
Ricordate le categorie di cui abbiamo parlato prima? Voglio capire che tipo di gerarchia esiste tra i vari elementi, voglio avere più visibilità delle connessioni, voglio vedere la granularità. 

Qui le possibilità sono svariate: dal classico backlog analogico su parete, alla modalità story mapping, mappe mentali e mappe ad albero.
In questa presentazione potete vedere i vari spunti che ho solo raccolto alcuni spunti ma sono curiosa di capire se voi ne vedete altri o ne avete magari già utilizzato alcuni che ritenete particolarmente efficaci.

Backlog declutter 1: da dove partire per riordinare

Come i Product Owner possono mettere ordine nei requisiti mediante l’utilizzo del metodo KonMari 

Backlog e declutter, un binomio curioso.
Questo post è la trascrizione di un mio intervento allo IAD 2016. Datato sì, ma sempre attuale; soprattutto di questi tempi in cui abbiamo tanto tempo per fare ordine …
Il topic è nato combinando 2 interessi diversi: uno per la product ownership e l’altro per la lettura. 
Sono una lettrice compulsiva e qualche anno fa mi sono imbattuta in un libro curioso – “Il magico potere del riordino” di Marie Kondo – mentre ero alla ricerca di strumenti che semplificassero la mia vita e mi facessero sentire più leggera. 
Ma cosa diavolo c’entra un volume che ti insegna a fare ordine in casa con la gestione del product backlog? C’entra c’entra, più di quel che pensate…

Struttura del backlog

Partiamo dal backlog: è quell’artefatto che raccoglie tutti i requisiti di prodotto ordinati secondo priorità.
Diamo ora un’occhiata alla sua struttura.

Come vedete nell’immagine la granularità delle user stories è più elevata in alto (sono quelle prossime alla lavorazione) e minore mano a mano che si procede verso il basso e quindi si va più avanti nel tempo.
Altra caratteristica di questa rappresentazione è che si tratta di un elenco contenuto.
Non è tutto il possibile e l’immaginabile che riguarda il prodotto, è una selezione di ciò che produce valore per gli utilizzatori (non si tratta di una lista della spesa!). 

Com’è fatto il backlog ideale

Le caratteristiche di un backlog “da manuale” sono queste: 

  • essere dettagliato correttamente (rispettare la granularità decrescente che abbiamo visto prima)
  • avere user stories stimate al proprio interno
  • essere aperto ad accogliere nuove idee e stimoli (mantenere la caratteristica di artefatto vivente)
  • rispettare le priorità

Ma nella pratica quanti di voi hanno un backlog così ordinato?
Il vostro backlog ha davvero queste caratteristiche?
E’ possibile farsi un’idea del suo contenuto in 3 minuti?

La domanda non è peregrina… tempo fa è arrivato in azienda un nuovo manager nella funzione IT. E’ andato a conoscere i vari team e ha fatto ai PO una domanda molto semplice: “se do un’occhiata al vostro backlog sono in grado di farmi un’idea al volo dei progetti su cui state lavorando e lavorerete nel prossimo futuro?” 
La domanda di per sé è semplice, ma la risposta? 
Tutti i nostri backlog sono accessibili e possono essere consultati da chiunque in azienda, ma sono davvero comprensibili? Chi li vede per la prima volta può farsi un’idea al volo? 

Il mio backlog è esploso… e adesso?

Spesso non è così e sono tanti i motivi per cui un backlog può sfuggire al controllo.
Ma non preoccupatevi; la buona notizia è che possiamo intervenire in qualsiasi momento e riprendere le redini della situazione.
A venirmi in soccorso è stato proprio il caso letterario di questa autrice giapponese che si definisce una consulente domestica e ha venduto milioni di copie in tutto il mondo.
Ho provato ad applicare alcuni consigli e tecniche mutuati dalla gestione degli spazi fisici al mio backlog e ne ho tratto grandi benefici.

Il clutter nel backlog

Il clutter è disordine, confusione, tutto ciò che non serve ma si trova nel nostro ambiente.
C’è anche chi lo definisce come “decisioni rimandate”.
Fare declutter significa portare ordine, liberarsi di oggetti vecchi ed ingombranti e portare alla luce ciò che è realmente di valore per noi.
Penso che a questo punto vi sia chiaro il perché leggendo il libro mi si sia accesa una lampadina…
Non è esattamente il lavoro di un PO questo? Comprendere e selezionare cosa valorizza veramente un prodotto.

Fare un assessment del backlog

Come in ogni operazione di riordino che si rispetti si parte da una valutazione dello stato attuale. Dobbiamo prendere consapevolezza.
Il primo invito che vi faccio è condurre un’analisi del vostro backlog.
Proviamo ad analizzarlo rispetto a passato, presente e futuro.

Cosa è entrato in passato nel backlog e cosa ha senso che rimanga in questo preciso momento? 
Quanto è opportuno che guardi in là il mio backlog? 

Cominciate a fare una valutazione oggettiva del vostro backlog: quanti item contiene al suo interno? 30? 50? 100?
Ovviamente il numero può dipendere da tanti fattori – il prodotto che seguite, la dimensione dell’azienda, l’organizzazione della stessa – ma tenete presente che oltre una certa soglia si verificano in ogni caso dei problemi.
Un esempio? Un backlog con un centinaio di item e un team che ne lavora 5/6 ad ogni iterazione si traduce in un’attività che cuba quasi un anno.
Siamo così certi che nulla cambi nel frattempo?

Backlog di grandi dimensioni: inconvenienti

Uno dei primi effetti collaterali è che il backlog perde la caratteristica di essere emergente. 
Quando la dimensione va oltre una certa soglia si verificano comunque delle disfunzioni: è difficile avere una visione globale e unitaria di tutto ciò che è presente al suo interno.
Si crea un effetto buco nero, ovvero più caos c’è e più tende a entrarne perché si è superata la soglia di contenimento.
L’altro grosso problema è che essendo già pieno difficilmente lascia spazio all’innovazione.

Abbiamo valutato lo stato di salute del nostro backlog, vediamo ora come le pratiche di declutter possono aiutarci a risolvere il problema.
Incredibile come i consigli per il riordino degli armadi offrano supporto ai PO “congestionati”.

Pianificare il riordino 

Uno dei primi suggerimenti è che dovete pianificare questo tipo di attività.
Non pensate di fare il riordino del backlog piano piano e poco per volta perché questo approccio non porta dei risultati tangibili (parlo ahimè per esperienza). 

E’ un’operazione time-boxed a tutti gli effetti quindi dovete darvi una scadenza né troppo stringente né troppo lasca.
Dovete pianificare dei momenti di questo tipo per poterlo fare effettivamente, metteteli in agenda, se potete coinvolgete anche il team.
Evitate un’attività a spizzichi e bocconi perché questo non porta a un reale cambiamento. Facendo ordine in modo radicale cambiate la vostra forma mentis e la struttura del vostro backlog.

Visualizzare il caos

Un altro consiglio è che tutto deve essere visibile.
Questo è un principio che dovremmo già conoscere perché è affine alle metodologie agili. 

Quando questa operazione viene fatta in casa si parte dai vestiti.
Tutti vengono tirati fuori dagli armadi e posti su letto in modo da poter vedere la montagna che si crea. Stessa cosa per le librerie; tutti i libri sul pavimento. 

Ci dobbiamo confrontare con il caos, dobbiamo “sporcarci le mani”. 
Fate in modo che gli item del backlog siano stampati su un supporto fisico.
Dovete poter giocare con le carte, valutare effettivamente quante sono e vederle dispiegate davanti a voi perché in un secondo momento dovranno essere organizzate. 

Quando mi sono trovata di fronte a 300 card e oltre ho capito di avere un problema…

Eliminare prima di riordinare

Da dove si parte? Prima viene il buttare!
Il riordino è un’operazione solo successiva. 

Questo è il momento in cui interveniamo sulla dimensione del backlog e il numero di item al suo interno per riportarli sotto controllo.
Qui vi stupirete di quanto si possono snellire i backlog.

Da cosa partiamo? Esistono indubbiamente in tutti i nostri backlog una serie di elementi che possono essere tranquillamente cestinati senza timore.
Vi porto qualche esempio… vi può capitare di trovare di tutto: item che nel frattempo sono chiusi perché sono stati lavorati insieme ad altri, attività che sono rimaste nel backlog ma che in realtà sono state portate a termine, duplicati, user stories che rimangono lì per mesi e mesi… si tratta evidentemente di item che hanno un valore inferiore rispetto tutto quello che viene lavorato quindi questo ci dà un’indicazione importante.
Il tempo di permanenza nel backlog è un criterio che dobbiamo sempre tenere presente.
E’ come un vestito che non viene più messo da anni, oltre una certa soglia si può buttare buttare senza pensieri.

Ma quali criteri adottare per fare questa radicale operazione di eliminazione?
Lo vediamo nella seconda parte di questo post!