PO Camp: 10 motivi per andare

Si è concluso da qualche giorno a Baratti il  PO Camp 2015, evento dedicato ai temi della Product Ownership giunto ormai alla terza edizione.
Sulla scia dell’entusiasmo che questo appuntamento annuale mi lascia sempre alla sua conclusione ho deciso di raccontare perché mi piace e perché vale la pena spendere un week end in compagnia di alcuni tra i più appassionati agilisti italiani.

Ecco qui in ordine sparso i motivi per cui sinora non ho saltato alcuna edizione.

1. “Ma quanti Product Owner Madama Dorè…”

Quest’anno i Product Owner erano la rappresentanza più consistente tra i 46 partecipanti al PO Camp.
Che c’è di strano, direte voi?
Bè, innanzi tutto trovarsi 2 giorni in compagnia di una ventina di Product Owner italiani non capita spesso (… a me capita solo qui!).
Tanti Product Owner tutti assieme li ho visti solo al corso di certificazione, ma si teneva a Londra e lì è tutta un’altra storia…
In sostanza: i PO hanno spesso difficoltà, risorse e situazioni comuni. Potersi confrontare su questi temi con tante altre persone che vivono le medesime esperienze tutti i giorni per me è un lusso.

2. Open Conference

La formula del PO Camp è invariata sin dagli esordi.
Si tratta di una Open Conference, ovvero una conferenza in cui i temi trattati non seguono un’agenda predefinita ma emergono in base alle richieste, alle curiosità e ai dubbi dei partecipanti.
Chiunque può proporre un argomento che desidera presentare, approfondire o capire meglio grazie all’aiuto degli altri.
L’agenda viene creata collaborativamente all’apertura della prima giornata.
E’ una formula poco usata negli eventi in Italia che consente di trattare in un contesto informale ciò che sta davvero a cuore ai partecipanti.

3. La varietà dei temi

4 o più sessioni parallele ogni ora intervallate da pranzo, chiacchiere e coffee break. A volte è difficile scegliere tra le proposte concomitanti, tutte interessanti.
Si spazia dagli strumenti di lavoro del Product Owner al release planning, dai contratti agili ai framework per scalare in aziende di grosse dimensioni, dalle personas al change management.
Questi sono solo un esempio dei tanti temi proposti e se temete che il tono sia troppo serio per un weekend potete sempre dedicarvi a scoprire le similitudini tra il tango e lo Scrum (fantastica sessione “feet on”) o testare per primi un gioco da tavolo per insegnare lo sviluppo software ai bambini.
Qui si discute di tutto, anche a tavola o in serata davanti a una birretta.

4. Non solo Product Owner e non solo sviluppo software

Questo è un altro aspetto di grande interesse per me.
Al PO Camp non ci sono solo Product Owner (siamo tutt’altro che un circolo esclusivo!).
Sono presenti anche Scrum Master, Coach Agile, manager, product manager che si stanno avvicinando al mondo dell’Agile e vogliono farsi un’idea più precisa di cosa li aspetta ed anche professionisti che non hanno nulla a che fare con lo sviluppo software come architetti ed insegnanti.
Il bello è proprio mettere a fattor comune esperienze di utilizzo della metodologia in contesti differenti, una contaminazione di idee in grado di generare preziosi insight e soluzioni innovative.

5. Sessioni all’aperto

Il clima è ancora buono (cade sempre negli ultimi giorni d’estate) e la location ha ampi spazi all’aperto.
Per questo vi potrebbe capitare di discutere i problemi ricorrenti che incontra un Product Owner nella sua professione a bordo piscina o confrontare gli strumenti per definire le priorità al bar.
Quest’anno abbiamo saltato la sessione al mare (solitamente l’ultima della giornata di sabato) perché il vento era freschino, ma vedere gruppi in cerchio sulla spiaggia del golfo di Baratti che parlano assiduamente di Scrum mentre nonni e bambini fanno il bagno è uno spettacolo da vedere almeno una volta nella vita.

6. Interventi di valore

Quest’anno per la prima volta è stato introdotto un intervento di uno speaker d’eccezione.
Il concetto di valore è stato l’argomento del workshop tenuto da Andrea Provaglio, unica sessione predefinita in agenda.
Per quanto sia bello il confronto tra product owner, il punto di vista di chi ha grande esperienza e grande visione sistemica offre nuove prospettive… di valore appunto.
Il workshop è stato una gradita novità per i partecipanti!

7. I giochi serali

Il post-cena è sempre ludico e anche quest’ultimo anno non è mancato il divertimento.
Protagonisti 9 product owner, i rispettivi team e i Lego trasformer.
Nonostante la mia performance discutibile e la scarsa conoscenza dimostrata sul dominio macchine e motori (papà perdomani!), il gioco mi ha dato la possibilità di sperimentare in un ambito differente le dinamiche di team, così come i punti di forza e di debolezza nell’esercizio del ruolo.
Il gioco apre ad interessanti riflessioni che maturano nei giorni successivi.
E’ un’ottima dimostrazione dell’orgoglio del fare squadra e della creatività di ognuno… per non parlare poi dei virtuosi del product canvas, degli elevator pitch e delle presentazioni multimediali da far invidia al Google I/O.

8. La location

Si tiene a Baratti (provincia di Livorno), in uno dei tratti più belli del litorale toscano. A pochi chilometri dalle tombe etrusche di Populonia e dagli imbarchi per l’isola d’Elba.
Se partecipate forse non avrete tempo di visitare i dintorni, ma potrete apprezzare il profumo delle pinete, l’ottimo vino e i cieli tersi anche durante i lavori.
La location è stata scelta apposta in centro Italia per consentire a tutti i partecipanti da nord, sud, est e ovest di raggiungere abbastanza agevolmente il Camp.

9. La community

E’ la mia terza volta al PO Camp.
Ricordo la prima volta che sono venuta qui.
Non sapevo cosa mi aspettava, non sapevo chi avrei trovato, conoscevo solo una persona e temevo di essere “un pesce fuor d’acqua”.
Alla cena del venerdì sera mi sentivo già “a casa”.

E’ bello condividere le proprie passioni con chi è entusiasta tanto quanto te.
Pensavo che avrei preso contatto con altri professionisti del settore, ho incontrato degli amici.
E oggi ci si ritrova qua e là ai convegni o su hangout e si riparte ogni volta da dove ci si era lasciati.

All’inizio eravamo quattro gatti, oggi abbiamo quasi raggiunto la dignità di una community.

10. Sapere di non sapere

Tutte le volte che si chiude il PO Camp vivo questa sensazione: un misto di entusiasmo e di terrore.
Da una parte l’esaltazione di aver partecipato a qualcosa di unico, in compagnia di persone di valore che hanno dedicato tempo ed energia a mettersi in gioco; dall’altra la consapevolezza di aver ancora tantissima strada da fare per diventare davvero un bravo Product Owner.

Il sapere di non sapere mi fa compagnia.
Non resta che rimboccarsi le maniche…

Business Model Canvas per modellare progetti e organizzazioni

Cos’è e a cosa serve

Che cos’è un canvas?  Letteralmente è una tela, un canovaccio, un template potremmo dire per rendere l’idea.
Il business model canvas è uno schema che consente sia di mostrare il funzionamento di organizzazioni esistenti sia di progettare nuovi modelli di business da zero.
Il business model canvas descrive come un’azienda crea, produce e acquisisce valore.
Il suo valore intrinseco sta nel fatto di essere uno strumento visuale, semplice, sintetico e duttile che si rivela un mezzo molto efficace di condivisione e comunicazione delle idee.
Dimenticate quindi le presentazioni power point, i documenti di requisiti e le risme di allegati; basta uno schema su un foglio A4 per promuovere il vostro prossimo progetto.

Business Model Canvas

Business Model Canvas: il concetto di valore

Prima di iniziare ad utilizzare il canvas e tutte le sue potenzialità è necessario dedicare del tempo a queste domande:

  • Chi è il nostro cliente? O chi sono i nostri clienti
  • Di cosa ha necessità? Qual è il risultato che ha bisogno di ottenere?

Le risposte a queste domande sono le fondamenta del nostro modello di business, quindi non abbiate fretta e dedicate tutto il tempo che vi serve per sviscerare gli aspetti da tenere in considerazione.

Un concetto-chiave che sta alla base del business model è infatti la necessità di definire il valore dal punto di vista del cliente, non con gli occhi dell’azienda che eroga il prodotto/servizio.

Business Model Canvas: i 9 blocchi

Una volta individuato il nostro cliente-tipo o i nostri clienti-tipo ed i relativi bisogni siamo pronti per approfondire i 9 blocchi costitutivi dello schema, ovvero:

Clienti

Sono la ragion d’essere stessa dell’organizzazione e possono corrispondere ad uno o più profili.

Valore offerto

Il valore che il cliente percepisce nello scegliere un’azienda piuttosto che un’altra (ad es.: comodità, prezzo, design, brand/status, minori costi, minori rischi, personalizzazione, performance, accessibilità, usabilità, ecc.).

Canali

I canali di comunicazione, distribuzione e canali di vendita sono il punto di contatto principale con i clienti.

Relazioni con i clienti

Possono essere di vario tipo (e convivere tra loro): personali, automatizzate, self-service, mediante community o di co-creazione con l’utente finale.

Ricavi

Derivano600 da vendita di beni, affitto/noleggio, canoni di servizio o di abbonamento, licenze, diritti di intermediazione o advertising.

Risorse chiave

Distinte in risorse umane, materiali, intellettuali e finanziarie.

Attività chiave

Ovvero ciò che l’azienda deve fare per far funzionare il proprio business; attività di produzione, vendita, consulenza/soluzione di problemi, supporto, ecc.

Partner chiave

Soggetti terzi che permettono di rendere efficace un business model (attraverso economie di scala, risparmio costi, ecc.).

Costi

Tutte le voci di spesa necessarie per portare avanti l’attività.

Business Model: come utilizzarlo

Uno degli aspetti più interessanti del canvas è come dicevo la sua duttilità. Si può utilizzare in situazioni disparate.
Vi faccio qualche esempio:

  • descrivere il funzionamento della propria azienda, di organizzazioni esistenti, competitor, ecc.
  • studiare modelli di business alternativi
  • progettare un nuovo prodotto/servizio
  • riprogettare il proprio modello di business
  • introdurre dei cambiamenti nell’organizzazione esistente

Il successo di questo strumento ha fatto sì che il suo impiego si sia esteso anche in ambiti non strettamente business.
Lo stesso creatore del canvas – Alex Osterwalder – racconta in “Business Model You” come utilizzare questo semplice schema per cambiare lavoro o cambiare vita.

Come il canvas può essere utile al Product Owner

Anche in un caso così specifico gli impieghi possono essere svariati.
Vi do giusto qualche spunto a riguardo.
Dal mio punto di vista è un ottimo strumento di comunicazione con il management.
E’ sintetico, veloce, permette di farsi un’idea a colpo d’occhio dei punti di forza di un prodotto/servizio e può essere agevolmente modificato per esplorare alternative.

Ma la sua forza non è limitata ad essere un semplice strumento di condivisione aziendale, può essere impiegato con successo anche nella gestione delle aspettative degli stakeholder di progetto.

Nei confronti del team di sviluppo è uno strumento utilissimo di allineamento perché consente di esplorare gli obiettivi e l’ambito di progetto, favorisce la comprensione della big picture, ma allo stesso tempo invita alla discussione, all’esercizio critico e alla condivisione di idee innovative.

E’ difficile trasmettere in un post quali benefici possa portare il canvas.
Si corre il rischio di sembrare un po’ invasati (tool-addicted)… ma posso dire che vale la pena fare qualche tentativo in prima persona per sperimentarne i vantaggi.
Per iniziare potete sempre ispirarvi ai tanti esempi disponibili in rete.

Il panorama delle certificazioni Agile

Ritorno sul tema certificazioni – già affrontato in un post precedente – perché vedo crescere un discreto interesse nei gruppi Lean e Agile in rete e sono certa che i potenziali interessati hanno molte domande in merito.

L’occasione per parlarne è un articolo sull’argomento letto proprio ieri in cui sono presentati alcuni dati e di cui riassumo i punti salienti.

Certificazioni Agile: quante sono?

E’ difficile rispondere in maniera esaustiva a questo quesito.
Non è possibile dare un numero perché il panorama cambia velocemente.
La lista è corposa e potremmo dire che nuove certificazioni “spuntano come funghi” (in fondo è un business come un altro…), ma è necessario tenere presente che molte di queste nascono e muoiono nel giro di breve tempo.

Oltre alle certificazioni offerte da organizzazioni consolidate è infatti presente sul mercato una pletora di società di formazione che “cavalcano l’onda” dell’Agile. In quest’ultimo caso si tratta spesso di Training Providers – a volte riconosciuti a volte no – che arricchiscono il proprio catalogo con topic “di moda” con l’intento di ampliare la propria fetta di mercato.

Esistono inoltre – soprattutto negli Stati Uniti – certificazioni in-house, ovvero attestati che vengono rilasciati per corsi di formazione svolti sul tema Agile in azienda. La maggior parte di questi documenti tuttavia non ha un valore professionale spendibile all’esterno della società stessa.

In sintesi la gamma delle certificazioni è ampia e le più note competono tra loro.

Certificazioni Agile: quali sono le più diffuse?

E’ possibile esporre qualche dato sulle certificazioni più note e riconosciute sul mercato.
I dati sono relativi al numero di certificazioni attive rilasciate sino a gennaio 2015 e sono stati forniti dalle rispettive società (ad eccezione di Scaled Agile Inc. che non fornisce numeri di dettaglio).

Titolo Rilasciato da N° certificazioni (a gen 2015)
Certified Scrum Master (CSM) Scrum Alliance 309,309
Professional Scrum Master (PSM-I) – Level 1 Scrum.org 31,580
PMI-Agile Certified Practitioner (PMI-ACP) Project Management Institute 6,987
Certified Scrum Practitioner (CSP) Scrum Alliance 2,627
SAFe Agilist (SA) Scaled Agile Inc. 1,000+
SAFe Program Consultant (SPC) Scaled Agile Inc. 1,000+
SAFe Practitioner (SP) Scaled Agile Inc. 1,000+
Professional Scrum Master (PSM-II) – Level 2 Scrum.org 198
Certified Scrum Coach (CSC) Scrum Alliance 63

Il CSM – Certified Scrum Master è in assoluto l’attestazione più diffusa e anche la più “antica” delle certificazioni Agile.
Crescono i numeri anche delle certificazioni più”giovani”: il PMI-ACP introdotto dal Project Management Institute nel 2011 e SAFe, il framework per scalare Agile e applicarlo nelle grandi aziende.

Non sono presenti in questo prospetto le certificazioni relative alla figura del Product Owner, ovvero CSPO (Certified Scrum Product Owner) di Scrum Alliance e PSPO (Professional Scrum Product Owner) di Scrum.org. Tuttavia una breve ricerca su Linkedin ci può fornire un ordine di grandezza degli attestati rilasciati dalle due organizzazioni.
Ad oggi sono presenti sul popolare network professionale più di 16.000 CSPO e ca. 1.600 PSPO (numeri ben ridotti a confronto con i 160.000 CSM e 50.000 PSM indicizzati su Linkedin).

Certificazioni Agile: cosa certificano?

Quasi tutte le certificazioni presenti sul mercato attestano la conoscenza del candidato, ovvero il fatto che abbia appreso i principi e le linee guida della metodologia Agile.
Poche pochissime ne valutano invece l’esperienza, cioè l’applicazione pratica di queste conoscenze nel contesto professionale.
Solo il PMI-ACP e la certificazione per coach (CSC) fanno un assessment dell’esperienza, seppur in modo puramente quantitativo (in base al numero di ore erogate “sul campo”).
Nessuna delle certificazioni attualmente più diffuse fornisce una garanzia sulla competenza del candidato, relativa quindi alla qualità dei risultati che è in grado di produrre.

Certificazioni Agile: tra le tante quali scegliere?

Anche in questo caso non esiste una risposta valida per tutti indistintamente. Bisogna valutare quale può essere la soluzione più adatta in base agli obiettivi della persona e al contesto di riferimento.
Se un amico mi chiedesse un consiglio inizierei porgendogli semplici domande:

    1. Prima di tutto a cosa sei più interessato? In quale ruolo senti di poter esprimere al meglio le tue capacità? Come Scrum Master, come Product Owner o come Coach?
    2. Per quale motivo senti di aver bisogno di una certificazione? Perché vuoi approfondire la conoscenza di queste tematiche o perché te l’ha chiesto/imposto l’azienda (ma non sei granché interessato)?
    3. Come preferisci che sia erogata la formazione? On-site, online, in aula?
    4. Pensi di sfruttare la certificazione come un vantaggio competitivo sul mercato del lavoro? Quanto vuoi differenziarti dagli altri professionisti del settore?

Queste sono solo alcune delle domande che dovrebbero aiutarvi a chiarire le idee.
In ogni caso il mio consiglio è di investire sempre sulla credibilità e l’affidabilità sia della certificazione sia del formatore.
Se avete curiosità specifiche sulla certificazione da Product Owner non perdetevi questo articolo!