Comunicare con gli stakeholder è un must

Se mi chiedessero di elencare le 5 cose più importanti che ho imparato in anni di lavoro nel Prodotto uno degli aspetti che menzionerei sarebbe sicuramente comunicare con gli stakeholder.
Non ribadirò mai abbastanza l’importanza di questa pratica.
E per stakeholder intendo proprio tutti gli stakeholder, interni ed esterni così come li abbiamo definiti quando parlavamo di mappatura.

Diciamo che abbiamo fatto i compiti a casa, ci siamo presi il tempo di intervistare le persone che a vario titolo sono interessate o influenzate dalla realizzazione del nostro prodotto, abbiamo compreso il loro punto di vista e le loro aspettative e quindi abbiamo gettato le basi per una relazione efficace.

Adesso si tratta di passare alla fase successiva, all’atto: ciò che ti serve è una strategia di comunicazione con i tuoi stakeholder.

Perché serve un piano di comunicazione

Partiamo da un presupposto: più è grande l’organizzazione di cui fai parte e più persone saranno influenzate dal tuo prodotto.
Se parli con ognuno degli interessati dovendo ripetere sempre le stesse informazioni perdi un sacco di tempo e rischi di non ricordare esattamente cosa hai detto a chi.
Ecco perché serve un piano.

Non è tanto importante quale tipo di formalizzazione decidi di adottare, ciò che conta davvero è che tu abbia chiaro:

  1. chi ha bisogno di quali informazioni
  2. quando ne hanno bisogno
  3. quanto frequentemente si aspettano di essere aggiornati
  4. come preferiscono ricevere le informazioni
  5. in generale come puoi massimizzare efficienza e chiarezza

Diciamo che se hai condotto un’attività di mappatura degli stakeholder e li hai intervistati dovresti avere chiari i primi 4 punti.

Essere intenzionali e consistenti

Questa è la chiave della comunicazione con gli stakeholder: essere intenzionali.
Decidere a priori quando avverranno i meeting, quali comunicazioni potranno passare semplicemente via mail e in quali occasioni sarà invece necessario allinearsi con il supporto di presentazioni.

Il migliore approccio che potete avere è creare un piano (condiviso possibilmente) e verificare mano a mano come sta funzionando. Non è necessario che sia perfetto, buono quanto basta è più che sufficiente.
Potreste scoprire in corso d’opera che l’idea iniziale non funziona come vi aspettavate. Non c’è problema: prendete dei feedback, modificate il piano di comunicazione testando i cambiamenti e reiterate il ciclo.

… ebbene sì, stiamo sempre parlando del metodo Lean Start-Up

Ad esempio vi potrebbe capitare che quanto ha funzionato ad inizio progetto si rivela meno efficace con il passare del tempo. Questo può essere dovuto al fatto che le informazioni da passare in fase di discovery sono molto diverse da quelle rilevanti durante la delivery e anche gli interlocutori potrebbero essere differenti.
Prendete nota della cosa e adattate il piano di comunicazione.

Ciò che dovete preservare a tutti costi è non il piano in sé ma l’approccio: essere intenzionali e consistenti. Avere chiara la finalità degli incontri (sono puramente informativi o servono a prendere decisioni?), prioritizzare le informazioni (soprattutto quelle più critiche) e capire cosa dev’essere riportato, quando e come.

Stiamo sempre raccontando storie

Poco tempo fa ascoltavo su Mind the Product un’intervista al CPO di Zoopla, David Wascha. L’intervistatrice domandava quali sono le skill più importanti nella gestione degli stakeholder e lui ha parlato di storytelling e ripetizione.

Tutte le volte che comunichiamo il nostro prodotto, ciò che stiamo realizzando e in quali attività è impegnato il team di sviluppo stiamo creando una narrativa su ciò che facciamo per l’organizzazione.
E’ importante essere consapevoli di questo aspetto: stiamo raccontando storie.

E come in qualsiasi storia che si rispetti è necessario rispettare un plot.
Nella narrativa in questione non possono mancare:

  • WHO (a chi stiamo risolvendo un problema)
  • WHAT (quale problema stiamo risolvendo)
  • WHY (perché è importante o di valore, in particolare per il cliente finale).

Chiediamoci sempre la motivazione della storia che stiamo creando, cosa vogliamo ottenere, se ciò che raccontiamo è al livello giusto, se ci siamo presi il tempo di supportarla con dati reali, se oltre ai dati abbiamo anche la possibilità di sostanziarla con citazioni degli utenti raccolte durante le interviste.

Il nostro storytelling di prodotto racconta dove siamo oggi, dove saremo e ciò che vogliamo ottenere.

Se ci pensate è proprio questa la scaletta di una review di prodotto:

  • riepilogo degli obiettivi e degli aspetti fondanti del progetto
  • lo stato dell’arte attuale
  • le attività che ci apprestiamo a fare nelle prossime iterazioni
  • gli impatti, i rischi e le eventuali decisioni da prendere

Ripetere, ripetere, ripetere… ed evitare di omettere le cattive notizie

Il secondo aspetto menzionato da David Wascha è la ripetizione.
“Le storie vanno ripetute. È fondamentale. Non devi essere soddisfatto fino a quando tutti sanno cosa state facendo. Lo ripeti anche 100 volte fino a quando non lo fanno anche gli altri.”

Riportare lo stato dell’arte di un progetto agli stakeholder è un processo continuo ed un’opportunità di allineamento continuo.
Ecco perché non ha ha senso “nascondere la polvere sotto il tappeto”.
Per quanto sia normale preferire riportare buone notizie, nascondere quelle brutte non le fa andare via e più tardi vengono sollevate peggiore è il rischio.

Avete presente quando slittano le date di una release di prodotto?
Questo è un grande classico!
Si vedono in anticipo i segnali che indicano qualche aspetto problematico ma si pensa di poter recuperare in corso d’opera e troppo tardi viene comunicato che non c’è possibilità di rispettare la deadline. E negli eventuali SAL di progetto è sempre stato comunicato che tutto procedeva secondo i piani…
Questo non fa che provocare la frustrazione in tutti gli stakeholder e una perdita di fiducia non solo sul progetto in questione ma anche su tutti quelli che verranno in futuro.

Ne vale la pena? Direi proprio di no. Meglio sollevare il rischio da subito!
Se i problemi che prefigurate oggi rientreranno non avrete impatti sul rilascio del prodotto, se non sarà così avrete tutto il tempo di valutare le opzioni disponibili e decidere come muoversi.
In più gli stakeholder apprezzeranno il fatto di sentirsi parte attiva del processo, sapranno che non nascondete loro informazioni e creerete i presupposti per una relazione di fiducia.

Pensare e testare il prodotto – intervento all’Agile Experience Conference

Recentemente ho preso parte all’Agile Experience Conference organizzata dagli amici di Agile for Italy. Si tratta di incontri live caratterizzati da un taglio pratico e dalla formula intervento iniziale più intervista da parte dei peer.
Giovedì 18 febbraio ho parlato di come “Pensare e testare il prodotto” in compagnia di Roberto Lunazzi, Lorenzo Cassulo e Deborah Ghisolfi.
Abbiamo approfondito quali tecniche usare per creare un prodotto amato dai nostri clienti, quali metriche e quali difficoltà si incontrano.

Qui trovate la registrazione:

Ed ecco a voi una traccia del mio intervento.

Le precondizioni di un buon progetto

Dobbiamo fare una premessa prima di affrontare il momento della discovery di prodotto.
E’ necessario fare un setting quando affrontate progetti di questo tipo per comprendere:

  • chi saranno gli interlocutori (il cliente finale, l’acquirente, lo sponsor in azienda, il responsabile della decisioni finale e chi può influenzare il progetto).
    E’ fondamentale riuscire a mappare tutti questi attori per partire con il piede giusto;
  • qual è esattamente l’obiettivo.
    Quando si fanno attività di questo tipo c’è sempre un’aspettativa da parte dell’azienda, che siano obiettivi di ricavi, quote di mercato piuttosto o volumi di vendita.
    È opportuno fare tante domande prima di iniziare e capire bene quali sono le regole del gioco perché gli obiettivi si possono portare a casa in molti modi e noi dobbiamo capire quali sono i trade-off percorribili.

Prima di tutto vi voglio proporre una distinzione tra prodotti totalmente nuovi e prodotti esistenti che devono essere fatti evolvere, ottimizzati, ecc.
Perché questo? Perché nei due casi abbiamo a disposizione strumenti diversi.

Creare prodotti, ma di che tipo?

Nuovi prodotti

Stiamo parlando di una situazione in cui non abbiamo dati a disposizione di prima mano.
Il prodotto non è presente in azienda; stiamo creando qualcosa di nuovo con cui non ci siamo ancora confrontati.

Cosa faccio di solito io?

Analisi

Faccio un’analisi: cerco gli stessi prodotti o soluzioni simili sul mercato e li studio (se posso li utilizzo direttamente, altrimenti cerco qualcuno che ne abbia esperienza, cerco materiale online, help o video, commenti, ratings).
Queste sono tutte informazioni utili per cominciare a farmi un’idea di questa tipologia di prodotti:
– come sono fatti
– che caratteristiche hanno
– quali sono i loro punti di forza
– eventuali punti deboli.

Personas

L’altro passo che faccio immediatamente è andare a capire chi sarà il mio pubblico.
Dedico tempo alla costruzione delle personas primarie che coincidono con i miei utilizzatori.
Si dice che i PO sono la voce del cliente in azienda ma se questa voce non la ascoltiamo mai dal vivo non stiamo facendo il nostro lavoro, ci stiamo perdendo una grande opportunità.

Con le personas voglio capire quale sarà il mio segmento di pubblico, non solo da un punto di vista socio-demografico.
Qui ho bisogno di scavare in profondità:
– che tipo di bisogni ha?
– quali preoccupazioni?
– cosa vuole ottenere?
– cosa è importante per queste persone?
– che cosa li motiva e li ispira?

Devo riuscire a costruire un profilo a tutto tondo per potermi mettere nei loro panni e verificare che il nuovo prodotto risponda alle sue necessità.

Impact Mapping

Negli anni uno strumento che mi è venuto molto in aiuto nella creazione di nuovi prodotti è l’impact mapping.
E’ una tecnica di pianificazione strategica che ci aiuta a costruire la mappa mentale del progetto:
– qual è esattamente l’obiettivo che vogliamo ottenere
– quali sono gli attori in gioco (e qui tornano in gioco le personas ma non solo)
– quali sono gli impatti che vogliamo produrre ovvero i cambiamenti nel comportamento degli attori
– quali attività (ovvero funzionalità o caratteristiche del prodotto potrebbero aiutarci ad ottenerli).

Per costruire questa mappa si fanno sessioni collaborative, più persone con diversi ruoli e competenze. Maggiore è la varietà e meglio è.

Sessioni collaborative di discovery

Come dico sempre il prodotto è un gioco di squadra, non è qualcosa che fate chiusi da soli dentro il vostro ufficio. Avete bisogno di un confronto continuo nella fase di discovery.

Ecco perché consiglio di sfruttare il più possibile per la creazione di nuovi prodotti le sessioni collaborative di co-creazione: facciamo brainstorming, ad esempio lift-off di progetto o – se ne avete la possibilità – potete proporre degli innovation days o degli hackathon dove diversi team cross-funzionali elaborano idee, le migliori vengono votate e si può arrivare a generare un prototipo dell’idea.

Tutti questi eventi hanno un enorme vantaggio perché portano le persone a bordo, fanno comprendere la sfida e consentono di generare tantissime idee così da selezionare le migliori.

Migliorare prodotti esistenti

Dati ed esperienze di prima mano

Qui possiamo utilizzare tutto quello che abbiamo detto prima ma abbiamo altre frecce al nostro arco. Esistono già degli utenti del nostro prodotto, abbiamo dati di acquisto e di utilizzo.
Sfruttiamo al massimo questi mezzi!
Andiamo a parlare con acquirenti e utilizzatori, intervistiamoli (i dati quantitativi non vi bastano per capire i fenomeni, dovete capire il perché), guardiamo gli analytics, dati di vendita e utilizzo, le registrazioni di sessioni utente, le domande che arrivano all’assistenza clienti o vengono fatte ai commerciali, sondaggi, analisi della customer journey.

Io di solito parto da interviste interne all’azienda per farmi un’idea dei problemi principali, monitoro l’utilizzo e poi vado a fare interviste qualitative.

Interviste JBTD

Potete utilizzare il framework JBTD con cui cercate di capire a quale scopo serve il prodotto o il servizio, sia da un punto di vista più funzionale (è il cosiddetto lavoro primario), sia da un punto di vista emotivo e sociale (come il prodotto fa sentire il cliente, come viene percepito dagli altri).
Perché sono importanti? Perché se non capiamo sulla base di che cosa un utente sceglie il nostro prodotto, quali sono i suoi parametri principali o creiamo una soluzione che non vuole nessuno (e magari questo problema non l’avete con un restyling o un replatforming) o riempiamo il prodotto di funzionalità inutili che non ne aumentano il valore, bensì lo diminuiscono.

Utilizzando anche solo alcuni di questi strumenti avrete raccolto una marea di informazioni su cosa funziona e cosa no, avrete moltissimi spunti su cosa aggredire per primo e avrete generato un backlog di attività.

Pronti per lo sviluppo? No, testiamo l’idea di business

A me piace l’idea di testare l’idea di business (non stiamo parlando di testare il prodotto finito); stiamo parlando di compiere un giro completo prima ancora di partire con un singola riga di codice.
E’ un approccio che è diventato sempre più mainstream negli ultimi anni. Da Lean Startup in avanti è conosciutissimo.

Experiment Map

Qui ci vengono in aiuto una serie di strumenti: ad esempio potete utilizzare un semplicissimo canvas, quello della experiment map. Identificate quali sono le assunzioni più rischiose che stanno dietro alla vostra soluzione, chiarite il risultato che vorreste ottenere e poi costruite un esperimento (il più semplice e meno costoso possibile) per verificare la vostra idea.
Non serve avere il prodotto finito, basta abbozzarlo!

Minimum Viable Product

Ci rifacciamo al concetto di MVP, Minimum Viable Product, una delle idee più bistrattate e meno comprese.
Quando parlo di MVP mi viene sempre in mente l’esempio di Zappos che nel 1999 ha testato l’assunzione più rischiosa che stava dietro alla sua idea di business con un concierge MVP.
Tenete conto che l’e-commerce non era il fenomeno che è adesso. Il founder doveva capire se le persone sarebbero state disposte a comprare qualcosa online – le scarpe – senza poterlo provare.
Ha costruito un negozio finto, un front-end vetrina senza che ci fossero tutti i processi dietro. Ogni volta che qualcuno cliccava sul pulsante “Compra” andava fisicamente a comprare il paio di scarpe in negozio.

Design Sprint

Negli anni gli strumenti sono diventati sempre più sofisticati: pensate al design sprint inventato da Google Venture. In 5 giorni riducete i rischi del lancio sul mercato di un nuovo prodotto o servizio. Partite dalla definizione del problema, fate brainstorming delle possibili soluzioni, scegliete la più promettente, costruite un prototipo e lo validate con potenziali utenti.
Questo non vi fa solo risparmiare tempo e denaro, vi fa risparmiare la creazione di waste.

Conclusioni

In sintesi abbiamo tanti strumenti a disposizione.
Non esiste lo strumento perfetto o un unico strumento per un problema.
Provateli, testateli e cercate quello che più vi risuona, con cui vi trovate bene.

Ma la cosa importante non sono gli strumenti in sé.
Quando penso alla creazione di un nuovo prodotto per me è determinante l’approccio che è fatto di questi ingredienti principali: ascolto, lavoro di squadra, confronto con la realtà (uscite dagli uffici!), utilizzo di dati e sapere di non sapere.
Tutto è ancora da imparare!

Checklist di domande per interviste Jobs To Be Done

Bene, siamo arrivati all’ultimo post dedicato al framework JBTD.
Abbiamo parlato delle caratteristiche di questa tecnica, dei 3 tipi di lavoro e dei punti chiave nei colloqui con i clienti; oggi vediamo una lista di domande che possono essere utilizzate durante le interviste Job To Be Done.

Ricordate quando abbiamo detto che l’aspetto più importante durante i colloqui è ricostruire la reale esperienza d’acquisto e non farla razionalizzare al cliente?
Ecco, per questo motivo partiamo con il rievocare insieme al nostro intervistato il momento in cui è avvenuto l’acquisto e poi da quello retrocediamo lungo la timeline che ha portato alla decisione finale.

Ricostruire l’esperienza d’acquisto

Domande su tempo e luogo:

Quando hai comprato il prodotto X (cellulare, automobile, PC, lavastoviglie, ecc.)?
Era un weekend quando l’hai acquistato?
Che giorno esattamente?
Avevi pianificato di fare l’acquisto quel weekend / quel giorno?

Hai comprato in negozio o online?

A seconda della risposta possiamo andare ancora più in profondità.
Ad esempio se il cliente ci ha detto di avere comprato online comodamente da casa approfondiamo:

Dov’eri esattamente? In quale stanza?
Che ora era del giorno?
La tv era spenta o accesa?
C’era della musica di sottofondo?

Stiamo rievocando il contesto in cui è avvenuto l’acquisto…

Eri da solo o con qualcuno?
Con chi esattamente?
Cosa ne pensava la persona che era con te?

La fase di ricerca e confronto

Abbiamo un quadro del momento dell’acquisto; adesso facciamo qualche passo indietro e torniamo all’inizio del processo, ovvero a quando è stato percepito il bisogno per la prima volta. Stiamo iniziando a creare la timeline e dobbiamo capire quando è iniziato il processo.

Quando è stata la prima volta che hai cominciato a guardare questo prodotto e a informarti?
Avevi già un prodotto dello stesso tipo?
Ti ricordi esattamente che momento era della giornata?

Anche in questo caso cerchiamo di ricostruire esattamente la situazione e le circostanze in cui si è manifestato il bisogno la prima volta, poi approfondiamo come è stata condotta la fase esplorativa.

Come hai cercato informazioni sul prodotto?
Quanti siti hai guardato?
Sei andato a vederlo in negozio?
La tua famiglia era con te?
Come ti sentivi quando hai chiesto informazioni sul prodotto?
Avevi in mente un modello in particolare?
Quando hai cominciato a considerare l’aspetto del prodotto?
Quanto è durata in tutto la tua ricerca?

… è importante indagare chi e che cosa può avere influenzato il cliente nella scelta d’acquisto.

C’è qualcuno dei tuoi amici o conoscenti che ti ha fatto provare il prodotto?Qualcuno che ti ha fatto vedere un modello in particolare?
Hai avuto qualche altra esperienza con quel prodotto?
Se sì, dov’eri quando è successo?

Le caratteristiche rilevanti del prodotto

Stiamo cercando di capire non solo il contesto in cui è avvenuta la scelta ma anche le qualità del prodotto che hanno portato il cliente alla decisione finale.
Queste, come dicevamo la volta scorsa, sono le feature decisive per i nostri utenti.
Se non le comprendiamo rischiamo di infarcire le nostre soluzioni di funzionalità inutili.

Che modello hai scelto?
Qual è il modello che avevi prima?
In quanto tempo hai deciso qual era il modello giusto?
Che cosa esattamente ti ha fatto decidere che era proprio quello il prodotto giusto per te?
Hai pensato a come sarebbe stata la tua vita con quel prodotto? Raccontami in che modo sarebbe cambiata…

Il momento della decisione

Infine andiamo alla ricerca dello aha moment.
Ritorniamo da dove siamo partiti – appena prima dell’acquisto – e chiudiamo il cerchio entrando nei dettagli di quando è avvenuta la decisione.

Cosa ti ha fatto decidere che era il momento giusto?
C’è stato un momento in cui sentivi di non avere più energia mentale?
Raccontami qual era la situazione in cui hai pensato “è ok”.
Quanto è passato da quel momento all’acquisto?
E’ stato un buon acquisto?

E’ tutto sul framework Jobs To Be Done. Passo e chiudo sul tema!
Se siete interessati potete mettere a confronto questo schema di intervista con quella per la costruzione delle personas.