Cosa ho imparato dalle interviste Jobs To Be Done

Nel corso delle ultime settimane ho esplorato il framework JBTD parlando di che cos’è e di quali tipi di lavori esistono. Oggi voglio raccontarvi cosa ho imparato dalle interviste Jobs To Be Done.
Non avendo praticato sino a poco tempo fa questa metodologia ho cercato in rete materiale audiovideo che mi potesse chiarire le idee (trovate i riferimenti alla fine del post).
In particolare ero interessata a capire come le interviste Jobs To Be Done si discostassero da quelle che utilizzo di solito per costruire le Personas.

In sintesi le prime sono conversazioni su come le persone comprano; delle seconde ho già parlato diffusamente in più occasioni (se vi siete persi questo approfondimento potete partire da qui). Riprenderò presto le differenze tra le due, ma per ora ho voluto estrarre i le caratteristiche essenziali delle interviste Jobs To Be Done:

  • l’oggetto del dialogo
  • la ricostruzione della storia con i suoi dettagli
  • l’esplorazione delle “forze” in gioco e delle dinamiche irrazionali
  • il momento della chiusura.

Acquisti non ricorrenti

Ho ascoltato 3 diverse interviste: una sull’acquisto di un materasso, una di un cellulare e una di una macchina.
Tutti gli oggetti in questione hanno in comune il fatto di non essere comprati tutti i giorni.
Gli intervistatori hanno più volte sottolineato che le interviste JTBD si focalizzano su acquisti non ricorrenti, che portano con sé un carico di emozione e di impegno (non solo dal punto di vista della spesa); insomma li definiremmo acquisti importanti.

Attenzione però: questa metodologia può essere usata anche per altri tipi di spesa (ricordate? Il professor Christensen l’aveva applicato al milkshake) ma gli acquisti “a basso coinvolgimento” richiedono un impegno molto maggiore per cogliere la reale motivazione per cui il cliente ha comprato ciò che ha comprato. In questo caso dovrete effettuare molte più interviste.

Altra nota importante: parliamo prevalentemente di acquisti perché questo è di solito il focus delle aziende, ma JBTD può essere applicato anche per altri tipi di scelta. Pensiamo ad esempio ad alcuni eventi altamente emozionali: la decisione di andare a convivere, di sposarsi o di cambiare vita.

Ricordate: lo scopo è sempre capire perché la persona ha scelto ciò che ha scelto e ha scartato le alternative.

L’importanza della timeline

Uno degli aspetti che mi ha più colpito è la ricostruzione / decostruzione del processo che porta all’acquisto.
Gli intervistatori esplorano con domande mirate le varie fasi che portano alla decisione finale:

  • il primo pensiero relativo al nuovo prodotto/servizio
  • quando è cominciata la fase di esplorazione delle alternative
  • se ci sono state influenze da parte di amici e conoscenti
  • quali aspetti sono stati rilevanti nella scelta
  • quando il focus si è spostato dall’oggetto al prezzo
  • il momento dell’acquisto vero e proprio
  • eventuali acquisti correlati al prodotto principale.

Tornano più volte sui momenti-chiave del processo perché ciò che vogliono ottenere è una chiara ricostruzione della timeline e delle cause che hanno determinato la scelta finale.

Timeline Jobs To Be Done – credits jasonevanish.com

Questi momenti-chiave sono paragonati a pezzi del “domino”, per sottolineare l’idea che tutti i passaggi sopra elencati concorrono a determinare l’effetto finale, ovvero l’acquisto di un determinato oggetto e non di un altro.

L’attenzione ai dettagli

Se ascolterete alcune delle interviste Jobs To Be Done sarete colpiti – come lo sono stata io – dalla quantità di domande di dettaglio che vengono poste agli intervistati.
E’ un fuoco di fila! Alcune vi potranno sembrare assurde…

“Quando hai comprato il telefono online eri con qualcuno?
Che giorno era della settimana?
Che momento del giorno era?
Dov’eri esattamente in casa? In quale stanza?
La TV era accesa o spenta?”

A prima vista il dettaglio della TV accesa o spenta può sembrare del tutto ininfluente sulle motivazioni di acquisto, ma ciò che l’intervistatore cerca di fare con questo approccio è una ricostruzione meticolosa del contesto (“set the scene” come dicono in inglese).
Uno dei principi che guidano queste interviste è che il contesto della scelta aggiunge valore alle osservazioni.

Rievocare i dettagli aiuta progressivamente il cliente a ricordare una serie di particolari, a tornare di nuovo in quello specifico momento, ad elaborare con più chiarezza i motivi che lo hanno indotto alla scelta e – non ultimo – a sentirsi a proprio agio (è pur sempre fondamentale nelle interviste costruire una zona di comfort).
Non è usuale infatti raccontare a qualcuno la propria storia d’acquisto e dedicare una 50ina di minuti all’argomento. Anche gli intervistati meno chiacchieroni si “sciolgono” e cominciano a raccontare particolari preziosi in questo lasso di tempo.

Ricostruire le forze in ballo

“L’arena della competizione è differente per l’azienda e per il consumatore. Noi dobbiamo guardarlo dalla loro prospettiva.” Questo è un principio fondante del framework JTBD.

I consumatori fanno continuamente trade-off per giungere ad una scelta; noi dobbiamo capire quali sono gli aspetti davvero rilevanti per loro, i cosiddetti “hiring and firing criteria”.
Infatti mentre le aziende sono concentrate a sviluppare un sacco di funzionalità intorno ai loro prodotti scopriamo durante le interviste che i clienti hanno in mente solo 2 o 3 aspetti determinanti per la scelta.
Se non comprendiamo questi ultimi rischiamo di inondare il prodotto di feature inutili e di ridurne il valore anziché aumentarlo.

Capire le cause ci consente di creare prodotti migliori.
Ecco perché – come nell’illustrazione sottostante – andiamo a ricostruire le forze che entrano in gioco al momento della scelta:

Source: jobstobedone.org

Due forze che spingono “verso”:

  • la situazione attuale, in cui il cliente percepisce un’insoddisfazione
  • la nuova soluzione, il prodotto che promette di risolvere gli “struggling moments”

Due forze che vanno “contro”:

  • l’’abitudine al vecchio prodotto
  • l’ansia per la nuova soluzione

Al termine dell’intervista dobbiamo essere in grado di descrivere con chiarezza tutte le 4 dinamiche in ballo.

Esplorare l’irrazionale

Oggetto delle interviste JBTD sono i clienti che hanno comprato recentemente un prodotto.
I dialoghi non sono focalizzati sul comportamento d’acquisto in generale, bensì su uno specifico acquisto.

Per quale motivo?
Non vogliamo che il cliente ci racconti cosa fa tutte le volte che acquista una casa, uno smartphone o un auto. La questione posta in questa maniera induce il consumatore a razionalizzare il momento dell’acquisto. Non è quello che ci interessa!
Noi vogliamo invece comprendere il comportamento irrazionale che i clienti applicano con consistenza.

Per questo motivo non gli chiediamo “parlami di quando acquisti il prodotto X”, bensì “parlami dell’ultima volta che hai acquistato il prodotto X”.
Vogliamo scoprire ciò che ha realmente fatto, non quello che dice di avere fatto. E questa è una distinzione determinante per far emergere le reali motivazioni.

Quando dire basta

Quando ha senso fermarsi? Come si fa a capire quando è il momento di chiudere l’intervista?
Ci saranno situazioni in cui sarà chiaro a entrambi – all’intervistato e all’intervistatore – di essere arrivati alla fine; c’è quel senso di chiusura, la sensazione di “essersi detti tutto”.
Ma ci saranno anche casi in cui avrete la sensazione di non avere avuto risposta a tutte le vostre domande.
Non importa. Avete coperto l’80% di ciò che volevate sapere? (… Pareto torna sempre). Allora potete considerarvi soddisfatti e magari esplorare le parti mancanti con nuove persone.

Un suggerimento che mi è piaciuto molto è questo: saprete di avere terminato quando sentirete di poter fare come foste i registi della storia, ovvero essere in grado di dirigere gli attori sulla scena senza incertezze perché ne avete compreso a pieno lo spirito.
Quindi siete pronti per il primo ciak?
Se le avete sperimentate sono curiosa di conoscere che idea vi siete fatti!

Riferimenti

I 3 tipi di Jobs To Be Done

Un paio di settimane fa abbiamo parlato della teoria dei Jobs To Be Done introdotta dal professor Christensen in un paper pubblicato sulla Harvard Business Review nel 2005.
Oggi ci focalizziamo sui 3 tipi di Jobs To Be Done che esistono nel framework.

I tipi di clienti

Consentitemi una premessa prima di entrare nel vivo dell’argomento.
Per poter correttamente definire i lavori da fare abbiamo necessità di comprendere le esigenze dei nostri clienti, cosa vogliono esattamente ottenere e – ancora prima – chi sono.
Può sembrare banale ma non lo è, soprattutto nei contesti B2B.

Nel framework JTBD si parla di 3 categorie di clienti serviti dalle aziende:

  • l’esecutore del lavoro: la persona che utilizza il prodotto per portare a termine un determinato lavoro;
  • il team di supporto del prodotto: è costituito dai diversi gruppi di persone che supportano il prodotto durante il suo ciclo di vita a vario titolo. Sono ad esempio le persone che installano, fanno manutenzione o aggiornano il prodotto; coloro che intervengono nella catena del consumo;
  • l’acquirente: la persona responsabile della decisione d’acquisto.

In un contesto B2C è molto frequente che il consumatore sia anche l’acquirente del prodotto mentre nelle aziende B2B l’esecutore del lavoro è ad esempio un professionista, il team di supporto per il ciclo di vita del prodotto può essere composto da un’equipe e l’acquirente è in genere una persona che fa parte dell’amministrazione.

Per utilizzare il framework in maniera proficua è fondamentale identificare i diversi tipi di clienti e i relativi contesti prima di approfondire le dimensioni del lavoro.

I 3 tipi di Jobs To Be Done

Abbiamo capito come si classificano i clienti, passiamo ora al lavoro da fare.
Secondo l’ideatore del framework ci sono tre dimensioni principali di cui dobbiamo tenere conto.

I 3 tipi di Jobs To Be Done

La dimensione funzionale

Questo è l’aspetto più evidente del “lavoro”.
Risponde alla domanda “quale compito vuole realizzare il cliente con il mio prodotto o servizio?”.
Il job funzionale è strettamente legato ai compiti da svolgere e agli obiettivi da raggiungere.

Prendiamo l’esempio del trapano che ricorre spesso negli aneddoti su JBTD.
Il trapano consente al cliente di fare fori nella parete della dimensione desiderata. Il risultato che la persona vuole ottenere è disporre i propri libri in bella vista su una mensola in salotto.
L’atto di praticare i fori nella parete è l’aspetto funzionale del lavoro.

Il lavoro funzionale è il punto focale attorno al quale si definisce un mercato e la ragione per cui esiste un business.
Nel framework JBTD l’obiettivo primario di qualsiasi prodotto è quello di aiutare a svolgere il lavoro funzionale in modo migliore e più economico rispetto alle soluzioni alternative.

Tenete presente che possono esistere anche lavori correlati: sono attività funzionali aggiuntive che l’esecutore del lavoro esegue prima, durante o dopo il lavoro principale. Ricordate l’idea che il cliente preferisce un unico prodotto per completare il lavoro?
Ecco, i lavori correlati sono di frequente poco considerati e le aziende in grado di soddisfare anche questi aspetti rendono più preziosi i loro prodotti.

La dimensione emotiva

Quando un cliente utilizza un prodotto per svolgere un lavoro funzionale spesso desidera sentirsi in un certo modo ed essere percepito sotto una certa luce dagli altri.

Attenzione! A detta di molti questa è la parte più delicata del framework JBTD.
Qui è necessario capire quali emozioni prova il cliente in relazione al lavoro da fare (prima, durante e dopo l’esecuzione) e come desidera essere percepito.

Nell’esempio del trapano potrebbe essere la paura di sbagliare, di non eseguire il lavoro correttamente o di rovinare il muro (non ridete, a me è capitato).
Cosa potrebbe essere rassicurante in questa situazione? Magari comunicare che il trapano in questione è uno strumento sicuro e che previene di commettere sbagli anche quando il cliente è alle prime armi.

La dimensione sociale

Infine, c’è un aspetto che ha a che fare con il nostro essere umani, ovvero animali sociali.
Il job sociale si riferisce a come il cliente vuole apparire agli occhi degli altri e che tipo di status vuole ottenere.

Le nostre decisioni sono influenzate più o meno consapevolmente dal parere di chi ci circonda e dalle conseguenze che le nostre azioni potrebbero avere su di loro.
Ad esempio montare correttamente la mensola significa dimostrare che sono una persona autonoma e capace nel fai-da-te, in grado di prendersi cura della propria casa.

Per mappare le 3 dimensioni dei lavori e il risultato desiderato potete utilizzare un canvas Jobs To Be Done.

Jobs To Be Done canvas – credits Laurent Bouty

Identificare il Job To Be Done più rilevante

I clienti possono assegnare a una delle 3 dimensioni un valore maggiore rispetto alle altre e non è detto che si tratti sempre del job funzionale. Pensate ad esempio all’acquisto di un rossetto o di un qualsiasi prodotto di bellezza…

Anche quando per noi la scelta sembra non avere alcun senso, per il cliente ce l’ha.
Vuole raggiungere un risultato e gli occorre un prodotto per farlo; si riterrà soddisfatto solo quando avrà appagato il suo bisogno.

La comprensione dei diversi tipi di lavoro e del loro peso relativo consente alle aziende di creare proposte di valore con componenti sia funzionali che emozionali e di realizzare una comunicazione di prodotto più incisiva.

L’importanza del job e la soddisfazione

A questo punto vi potreste chiedere: una volta individuate le 3 dimensioni dei jobs to be done e la priorità tra funzionale, emotivo e sociale possiamo iniziare a concettualizzare le soluzioni?

In realtà ci sono due aspetti che potremmo considerare pre-condizioni e che è fondamentale sondare prima di arrivare allo sviluppo vero e proprio.
Dobbiamo rispondere a due domande:

  1. il cliente è davvero interessato a risolvere il problema che vediamo?
  2. quanto è soddisfatto con le attuali alternative presenti sul mercato?

Se il consumatore non pensa che sia un problema per cui vale la pena risolvere o modificare il proprio comportamento – come capita ad esempio con acquisti ricorrenti di scarsa importanza e basso importo – è meglio rivedere il proprio focus.
Allo stesso modo se un altro prodotto consente già di svolgere il lavoro con successo sarà più difficile acquisire quote di mercato con una nuova soluzione ed è consigliabile valutare a priori i margini di profitto ottenibili in queste condizioni.

In sintesi per determinare l’opportunità di business devi sapere quanto è importante per il tuo cliente il job to be done e determinare il grado di soddisfazione rispetto alle offerte attuali.

“Prendi queste due cose – importanza e soddisfazione – e se le persone non sono soddisfatte, allora hai una grande opportunità”.

Risorse Jobs To Be Done

Vi lascio con qualche spunto di riflessione sul tema e un template alternativo per raccogliere le vostre osservazioni.

E ora buon lavoro… da fare!

Jobs To Be Done: ridefinire il prodotto attraverso il lavoro

Cosa sono i Jobs To Be Done

Oggi parliamo di Jobs To Be Done, un altro strumento che Product Owner e Product manager possono utilizzare per creare prodotti e servizi di valore.

Jobs To Be Done è un framework che aiuta le aziende a focalizzarsi sui problemi dei clienti e a costruire nuovi prodotti o ottimizzarne di esistenti in risposta a quei bisogni.

Abbiamo già parlato di outcome in passato… JTBD è un approccio outcome-driven perché definisce la finalità – l’outcome – per la quale i clienti acquistano prodotti, soluzioni o servizi specifici.

“Le imprese vogliono pensare in termini di categorie.
I consumatori vogliono che pensiamo in base alle loro esigenze.”

Ideatore di questa teoria è il professor Clayton Christensen della Harvard Business School secondo il quale alla base dell’acquisto sta l’idea di svolgere un lavoro “meglio e ad un costo minore”.

Il marketing tradizionale mette in relazione la scelta di un prodotto ai target, segmenti di utenza caratterizzati da profili socio-demografici comuni; Clayton sostiene invece che per comprendere le reali motivazioni che spingono all’acquisto è necessario focalizzarsi su “tutte le cose che le persone stanno cercando di fare nella loro vita in termini di compiti che tentano di svolgere o completare, di problemi che cercano di risolvere o di bisogni che provano a soddisfare”.
Sono questi i job to be done.

La segmentazione del mercato secondo la teoria JBTD

Pensate: anche il milkshake è un prodotto che aiuta a svolgere un lavoro… quale?
Scopritelo in questa intervista al professor Christensen che con il suo team ha condotto un’analisi per una famosissima catena di fast food.

I jobs to be done perdurano nel tempo

Le persone acquistano prodotti e servizi per portare a termine un determinato lavoro e mentre i prodotti vanno e vengono, il lavoro da svolgere non scompare.

Facciamo un esempio: pensate per un momento a com’è cambiata la fruizione della musica negli anni. Quando ero piccola utilizzavamo mangianastri e vinili, supporti molto diversi rispetto alle possibilità che abbiamo oggi di fare streaming direttamente dal cloud.
I prodotti e i modelli di business si sono evoluti enormemente, ciò che è rimasto costante è il job to be done ovvero ascoltare la musica.

Conducendo un’analisi JTBD è possibile ottenere una comprensione più profonda del modello mentale dietro le decisioni di acquisto e del risultato che un cliente desidera raggiungere. In questo modo si arriva a una definizione della strategia di prodotto più chiara.

E’ possibile applicare il framework JTBD per decostruire i vari lavori in passaggi specifici e mappare le relative esigenze dei clienti per identificare opportunità di crescita.
Invece di focalizzare l’attenzione sui prodotti che diventeranno sicuramente obsoleti, questo approccio suggerisce alle aziende di progettare l’attività intorno ai lavoro da svolgere così da rimanere concentrata sulla creazione di soluzioni valore e garantirsi sostenibilità nel tempo.

La formula standard per descrivere un job to be done

Il lavoro è l’unità di analisi

Questa teoria porta con sé un cambio di paradigma: la vera innovazione non avviene migliorando i prodotti esistenti, bensì trovando modi migliori per portare a termine i lavori.
Si smette di studiare il prodotto per approfondire invece il lavoro che le persone stanno cercando di svolgere.
Il lavoro, non il prodotto, è l’unità di analisi.

Quello che mi sembra particolarmente convincente in questo approccio – così come con lo strumento delle personas – è il cambio di prospettiva: dall’oggetto al punto di vista del soggetto che lo fruisce e ai risultati che desidera raggiungere.

Il mercato viene ridefinito in base ai vari lavori funzionali da svolgere e non più attorno a un prodotto, una tecnologia o una soluzione.
Quando si applica la teoria dei jobs to be done ci si focalizza su due aspetti principali:

  • l’esecutore del lavoro (il soggetto);
  • il lavoro che l’esecutore sta cercando di svolgere.

In quest’ottica i genitori che cercano di trasmettere lezioni di vita ai propri figli rappresentano un mercato. I genitori sono gli esecutori e trasmettere le lezioni di vita è il loro compito primario.
Definire un mercato in questo modo apre la porta a un diverso tipo di ricerca poiché l’obiettivo diventa analizzare il lavoro per scoprire dove gli esecutori fanno fatica a portarlo a termine piuttosto che analizzare i prodotti che usano a tale scopo.

Vi faccio un altro esempio: un cliente vuole comprare una macchina più grande. Qual è la finalità che lo guida? Quale il suo contesto? Ha una famiglia numerosa o gli serve un’auto spaziosa perché ama sciare e viaggia spesso con l’attrezzatura sportiva al seguito? La risposta a queste domande apre scenari del tutto differenti.

Quando i clienti eseguono un lavoro hanno in mente una serie di criteri che ne definiscono la corretta esecuzione. Quei criteri, che corrispondono alle metriche con cui misurano il raggiungimento dell’obiettivo, sono intuizioni preziosissime per la creazione di prodotti e servizi di valore.

Un unico prodotto per l’intero job to be done

Una volta mappate tutte le esigenze del cliente si arriva a comprendere quali non sono soddisfatte dalle soluzioni esistenti.
Teniamo a mente che il nostro scopo come Product Owner è aiutare i clienti a portare a termine l’intero lavoro.
Da una parte dobbiamo considerare quali aspetti non sono ancora appagati dai prodotti attuali, dall’altra – quando lo sono – di quanti prodotti gli esecutori hanno bisogno.

Questo è spesso un aspetto sottovalutato e merita particolare attenzione.
E’ molto frequente che i clienti debbano mettere insieme diverse soluzioni per completare l’intero lavoro. Questo è una scomodità perché le persone non vogliono “doversi sbattere” con più prodotti per raggiungere i propri obiettivi; vogliono qualcosa che consenta loro di fare tutto il “job”.

La chiave del successo è capire, dal punto di vista del cliente, qual è l’intero lavoro e fare di quel lavoro il punto focale della creazione di valore.

La differenza tra un approccio orientato al prodotto e uno orientato al job to be done

Conclusioni

Jobs To Be Done è una tecnica potente che può essere applicata ogni volta che si desidera identificare opportunità di innovazione in relazione allo sviluppo del prodotto, all’eccellenza operativa o al miglioramento della relazione con il cliente finale.

Dal mio punto di vista questo approccio è particolarmente interessante perché:

  1. si focalizza su ciò che il cliente vuole ottenere
  2. motiva la scelta di prodotto in base all’outcome desiderato
  3. migliora la customer experience grazie ad una maggiore comprensione dell’utente

Nel prossimo post approfondiremo i vari tipi di job to be done con esempi specifici (ne esistono 3) e prenderemo familiarità con il template del framework.
A presto!