Il prodotto non è il risultato…
Nel mondo Agile è molto frequente il riferimento ai termini inglesi output e outcome, ma qual è esattamente il loro significato e quali le differenze tra i due?
Partiamo innanzi tutto dalla traduzione: l’output è ciò che viene creato alla fine di un’attività; potrebbe essere ad esempio una funzionalità, un prodotto o un servizio. L’outcome invece è il risultato finale, ovvero l’effetto che quella funzionalità, quel prodotto o quel servizio generano.
I risultati sono ciò che l’azienda vuole o deve ottenere (ricordate quando abbiamo parlato di vision e mission così come di obiettivi strategici?). Gli output sono le azioni o i deliverable che contribuiscono al raggiungimento di quel determinato risultato.
Soffermiamoci un attimo a considerare le differenze tra i due.
Gli output sono spesso tangibili e facili da misurare. Non sono le ragioni per cui viene avviato un progetto, bensì mezzi per un fine.
Di norma possono essere controllati da chi gestisce il progetto o il prodotto e, una volta rilasciati in produzione, non ci forniscono una vera misura di efficacia.
L’outcome invece è per lo più qualcosa di intangibile e difficile da misurare. Il risultato finale che si vuole ottenere è esattamente il motivo per cui viene avviato un progetto o creato un prodotto.
Non è possibile controllare direttamente il risultato, quanto piuttosto influenzarlo con una serie di attività e misurarlo a posteriori con parametri di efficienza ed efficacia.
L’outcome dal mio punto di vista è esattamente ciò che viene definito un impatto nell’Impact Mapping.
Esempi di output e outcome
Facciamo qualche esempio pratico per essere sicuri di avere chiare le differenze.
Prendiamo il caso di una catena di fast food che produce hamburger.
L’hamburger è l’output, ciò che viene creato alla fine del processo. Il numero di hamburger prodotti o di persone servite ci fornisce un’indicazione sulle performance del ciclo di produzione ma non ci dice niente sulla risposta dei clienti e su come questi siano stati influenzati.
Due outcome possibili sono ad esempio la percezione di qualità da parte dei consumatori o la capacità del prodotto di eliminare la fame.
Altro scenario. Un bambino di 6 anni invita i suoi compagni di scuola per festeggiare il suo compleanno. Il culmine della festa è la torta a tema Spider Man ordinata con tanta cura dai genitori.
La torta è l’output in questo caso. Ma cosa succede se il dolce tanto atteso arriva con la scritta “Tanti Auguri Camilla”? O se ha il disegno di Peppa Pig al posto di Spider Man?
Sono certa che qualunque genitore o chiunque abbia avuto a che fare con bambini di quell’età sappia perfettamente che il risultato finale (nonostante la consegna della torta) sarebbe disastroso.
Certo! Perché l’outcome atteso qui è una festa di compleanno ben riuscita e una masnada di bambini felici, non semplicemente mettere un dolce sul tavolo.
Infine consideriamo un ultimo esempio ripreso dal mondo no profit.
Parliamo di un’associazione di volontariato per la prevenzione e la lotta all’AIDS.
In questo caso un possibile output sono gli incontri di approfondimento, le lezioni e i workshop che l’ente tiene periodicamente per sensibilizzare i cittadini sul tema.
Il numero di questi eventi ci fornisce un’indicazione di performance rispetto all’output, ma l’outcome vero e proprio è la maggiore conoscenza e consapevolezza delle persone su questa tematica e l’acquisizione di comportamenti adeguati. Un risultato questo tutt’altro che semplice da monitorare.
E’ chiara la differenza adesso? Il cosa non è il perché: gli output sono le cose che produciamo – fisiche o virtuali che siano – per un certo tipo di cliente, gli outcome sono la differenza che queste cose fanno (qui ne parlo anche in relazione agli impatti).
Se acquisto un seggiolino per auto quale risultato mi aspetto? Cosa è realmente importante per me? Che il bambino sia al sicuro durante gli spostamenti; questa è l’unica cosa che conta davvero!
Perché come Product Owner devi focalizzarti sull’outcome
Personalmente nel corso degli anni ho sperimentato entrambi i modelli di gestione dei progetti: per output e per outcome (i primi – ahimè – molto più frequenti dei secondi).
Prima di scoprire l’Agile seguivo progetti focalizzati sul rilascio di funzionalità piuttosto che sull’indicazione del risultato atteso.
Al team di lavoro veniva richiesto di creare una serie di feature seguendo requisiti di dettaglio.
Cosa veniva misurato al termine del progetto? Tempi, costi e – a volte – aderenza alle specifiche iniziali (l’ambito o scope per i project manager), tutti indicatori che dicevano poco o nulla del successo di un prodotto.
Questo è un punto che ho sottolineato in tanti post: non basta arrivare a rilasciare un prodotto in produzione per avere successo se ciò che abbiamo realizzato non interessa a nessuno.
L’outcome è proprio il vantaggio che i clienti ricevono dalle soluzioni che offriamo perché ci siamo presi il tempo di comprenderne a pieno le esigenze.
L’outcome è il vero valore per il cliente finale, ecco perché dev’essere il focus primario di un Product Owner!
L’output invece – più facile da misurare – è spesso oggetto degli indicatori aziendali.
Ma se monitoriamo solo il raggiungimento di quest’ultimo senza misurare i risultati da un punto di vista più strategico, si produce il cosiddetto “effetto anguria”.
Tutti i report e le dashboard a prima vista si presentano con KPI positivi, ma quando si approfondiscono gli indicatori dei risultati attesi (quelli che misurano il raggiungimento dell’obiettivo) i numeri sono in rosso.
Ed è chiaro il motivo: hai creato un COSA senza un PERCHE’ (un punto-chiave sul quale Simon Sinek ha detto tutto ciò che c’era da dire in “Start with Why“).
Quindi perché dovresti preferire progetti outcome-driven piuttosto che output-driven?
Per evitare di produrre waste (spreco). Per deliziare i clienti, non fare più cose. Per fare la differenza e non creare solo “roba”.
Quando ho avuto l’occasione di lavorare su progetti gestiti per risultati (outcome-driven) la musica è cambiata e di molto! In quel caso gli stakeholder in azienda ci hanno lasciato “carta bianca”.
Sono stati più sfidanti e più difficili, hanno richiesto un lavoro di discovery molto più approfondito e tanta sperimentazione con il cliente finale ma alla fine raggiungere l’obiettivo ha avuto tutt’altro sapore.
E aggiungo anche un’altra cosa: sono questi i progetti dove i team di lavoro fanno davvero un salto in termini di crescita e di consapevolezza nella gestione del prodotto.
Talvolta è un’esperienza per stomaci forti, ma ne vale davvero la pena.
Perché la gestione per risultati è merce rara
Sempre in tema di outcome qualche tempo fa ho visto in rete un intervento di Teresa Torres al Business of Software (BoS) che mi ha colpito. Trovo che faccia delle riflessioni interessanti e particolarmente acute sul perché sia così difficile applicare la gestione per risultati e, dato il tema trattato nel post, ho deciso di condividervi qui una sintesi.
Questo è lo scenario che incontra più di frequente nella sua attività di Product Coach: “nonostante si parli di gestione in base ai risultati da anni, i manager hanno spesso ancora difficoltà a concedere ai team la flessibilità e la libertà per esplorare il percorso migliore al raggiungimento degli stessi. Si continuano a dettare le azioni che i team devono intraprendere per raggiungere tali obiettivi e si ricade quindi negli output.”
Perché succede questo? Secondo la Torres c’è un sostanziale problema di fiducia.
Da una parte i manager non credono del tutto che i team possano raggiungere i risultati da soli, cadono spesso nel micro-management e concentrano i feedback sui dettagli piuttosto che nel comunicare la visione strategica; dall’altra non tutti i team hanno la seniority necessaria per avere successo con questo tipo di gestione e anche i più maturi dimostrano scarsa capacità di comunicare i progressi verso i risultati. Sono abituati a concentrarsi sulle conclusioni dei loro ragionamenti – le funzionalità che implementeranno, i progetti che eseguiranno e le iniziative che forniranno – senza condividere i motivi che li hanno portato a quelle scelte.
Focus sui dettagli e micro-management sono due facce della medesima medaglia.
Affinché questo circolo vizioso si spezzi sono necessarie due cose secondo l’opinione della Torres: insegnare ai team come comunicare i loro progressi verso un risultato ed insegnare ai manager come fornire feedback migliori.
Concordo con la sua visione. Ma mi piace l’idea di condividere qualche suggerimento pratico che possa fare la differenza da subito nella vita di tutti i giorni.
La raccomandazione è questa: quando vi viene richiesto di produrre qualcosa chiedete perché e cercate di capire la necessità che sta dietro la richiesta.
In questo modo state portando la conversazione ad un livello più alto e state educando anche il vostro interlocutore a ragionare sull’outcome.
Sembra una cosa da nulla ma è in realtà una rivoluzione più grande di quanto possiate immaginare!
Ci sono poi i casi in cui la soluzione ipotizzata (output) per raggiungere l’outcome, prende talmente forza e si trasforma in outcome (con fee per implementazione ad esempio) che l’outcome iniziale viene totalmente perso di vista e ogni proposta di test dell’ipotesi negato.
Sappiamo come va a finire
Ciao Giacomo, capisco il tuo punto di vista. Hai voglia di condividere in concreto un esempio di vita vissuta?
“[..] Non è possibile controllare direttamente il risultato, quanto piuttosto influenzarlo con una serie di attività e misurarlo a posteriori con parametri di efficienza ed efficacia…”
Dicesi processo…
Davvero un’ottima spiegazione ed un interessante tema. In verità, avevo programmato anch’io di discuterne, a proposito di finanza personale. Un ambito, in cui, si è ancora troppo ingessati sulla c.d. “Output economy” (prodotti finanziari)
Grazie davvero, Susanna.