Valore per i clienti e impatto commerciale del prodotto

Product owner, ti sei mai chiesto qual è l’impatto commerciale del tuo prodotto?

C’è una citazione di Marty Cagan che ultimamente ritrovo spesso nelle mie letture online:

“lo scopo dei team di prodotto è servire i clienti creando prodotti che i clienti amano, lavorando tuttavia per l’azienda”

Cosa intende dire esattamente Cagan con questa frase?
Vuole sottolineare il fatto che come responsabili del prodotto non ci muoviamo all’interno di un silos; siamo focalizzati sul valore per il cliente finale ma abbiamo la nostra parte di responsabilità sull’impatto commerciale del prodotto e sul conto economico dell’azienda.

Mentre riflettevo sulle implicazioni di questo messaggio mi sono imbattuta su Mind The Product in un intervento del Chief Product Officer di Talabat Yi-Wei Ang – dal titolo “Driving commercial impact for product teams”.
L’ho trovato molto interessante e ve lo riassumo qui di seguito.
E’ proprio incentrato sul fatto che la figura del product practitioner si trova oggi di fronte all’ennesima evoluzione.

Perché essere customer-obsessed non basta…

Come figure di prodotto – product owner, product manager, designer ed esperti UX – siamo spesso sbilanciati verso la prima parte dell’affermazione di Cagan: amiamo creare prodotti amati dai clienti.

Noi siamo quelli che nel giro degli ultimi 10 anni sono passati – per chi lavora in questo ambito da più tempo – dalle pianificazioni annuali di sviluppo dei prodotti e da lunghi documenti di requisiti redatti upfront ad essere i customer-advocates, la voce del cliente all’interno dell’azienda.

Diciamoci la verità: abbiamo un bias verso la creazione di prodotti che abbiano valore per i nostri clienti ma se spendiamo il 90% del nostro tempo su questo aspetto nei processi di discovery e delivery, quanto ci dedichiamo al successo commerciale?

Secondo Yi-Wei Ang è giunta l’ora di ribilanciare i nostri sforzi perché il ruolo del prodotto sta cambiando. Ciò che ci è richiesto oggi è di continuare a creare prodotti amati dai clienti ma che allo stesso tempo siano in grado di far crescere il business, che abbiano un impatto tangibile sulla bottom line (proprio quell’ultima riga del rendiconto finanziario che mostra l’utile o la perdita netti di un’azienda).

E’ ora di abbattere un altro silos…

A pensarci bene questo aspetto è spesso alla base della frizione o dell’incomprensione che si crea tra il team sales e quello di prodotto.

Vi è mai capitata questa situazione?
Il team sales sollecita il prodotto a sviluppare certe funzionalità richieste espressamente dai clienti con lo scopo, ad esempio, di diminuire il churn o tasso di abbandono. Il team di prodotto crea delle soluzioni senza un adeguato lavoro di discovery sul problema e alla fine le nuove feature rimangono inutilizzate senza raggiungere lo scopo iniziale.
E’ una dinamica alquanto frequente.
Evidentemente qualcosa è andato storto nella relazione tra i due.

Se vogliamo raddrizzare questa situazione il CPO di Talabat ci invita a farci carico dei risultati di business oltre che degli outcome di prodotto.
Lavorando a stretto contatto con il team business possiamo massimizzare i risultati per l’azienda nel senso più ampio.

Questo pensiero mi trova assolutamente d’accordo.
Ho sperimentato più volte che per essere davvero efficace nel mio lavoro con gli stakeholder devo essere in grado di mostrare al business l’impatto che sono in grado di produrre sulla bottom-line.
Il mio amministratore delegato, per quanto attento ai bisogni della clientela e consapevole delle metriche di prodotto, finisce comunque per misurare ogni risultato in termini di ricavi e riduzione dei costi. Non c’è niente di male, è il suo focus principale in fin dei conti.

Quantificare l’impatto commerciale del prodotto

Le vendite non sono altro rispetto al prodotto; il prodotto non serve il business, il prodotto è il business.
Se pensate che il prezzo, il costo di acquisizione dei nuovi clienti e il lifetime value siano aspetti che vi riguardano solo marginalmente come product owner state sbagliando strada e rischiate di perdere la migliore occasione per dare rilevanza al vostro ruolo in azienda.

Le decisioni business e di prodotto sono per lo più profondamente intrecciate.
Ang scherza sul fatto che anche se siamo diventati bravissimi ad utilizzare il business model canvas di Osterwalder ci sono alcuni aspetti di questo template che tendiamo con maggior frequenza a tralasciare.
Siamo super-concentrati sulla value proposition, le attività e le risorse chiave ma non approfondiamo altrettanto il prezzo, i canali utilizzati per il go-to-market, la struttura dei costi e delle revenue.

Quindi stiamo davvero dicendo che il Product Owner deve diventare anche un esperto degli aspetti finanziari del prodotto? Dobbiamo andare a coprire l’ennesimo ambito nel nostro ruolo?
La risposta è – come nelle ricette di cucina – “quanto basta”.
Dobbiamo conoscere e comprendere questi aspetti quanto basta per prendere le giuste decisioni.
La buona notizia è che non è necessario fare tutto da soli…

Co-creare con il business

Come possiamo portare l’organizzazione di business e quella di prodotto più vicine in modo da rafforzarle entrambe?
Il suggerimento che da Ang è semplice ed efficace: impariamo a co-creare con il business.

I product owner sono ormai abituati da tempo a considerare la relazione con i designer e con gli sviluppatori la chiave dell’attività di progettazione e sviluppo prodotto.
E’ una relazione che abbiamo creato all’interno dei framework agili e che oggi non mettiamo in discussione perché ne conosciamo il valore.

L’invito che ci viene fatto adesso è di estendere questa relazione di fiducia introducendo nel trio un quarto componente: il business.
Il business partner a quel punto si immerge con noi nella discovery, nella delivery e nella validazione.
L’approccio sperimentale che portiamo nella realizzazione del prodotto non si limita più alla prototipazione, ai test di usabilità o agli A/B test, ma si estende anche a validare le assunzioni di business sul pricing, i segmenti di clientela, le strategie go-to-market e molto altro.

Conoscere l’impatto economico del prodotto

In questa evoluzione della figura di prodotto Ang ci suggerisce di partire da una serie di domande a cui dare risposta:

  • Come fa i soldi il nostro prodotto?
  • Quali sono i costi associati alla linea di prodotto?
  • Quanto costa acquisire nuovi clienti?
  • Quanto costa far funzionare l’intera catena del valore?
  • Quali sono le assunzioni che il business sta facendo?

Quando diventiamo consapevoli degli economic drivers e dell’intero processo che va dall’acquisizione del cliente alle revenue la nostra capacità di influenzare l’evoluzione del prodotto e di creare storie potenti intorno al suo perché si fa esponenziale.

Nel mio caso so che questo passaggio non è stato facile da digerire; ho fatto resistenza per più tempo di quanto avrei dovuto.
Pensavo che essere misurata nel mio ruolo di responsabile di prodotto su metriche di business non fosse del tutto appropriato perché non sono aspetti che controllo direttamente; ho capito che questa è una visione parziale.
In realtà ho scoperto che l’essere legata proprio a obiettivi di business mi da la possibilità di esercitare grande influenza su quelle metriche e di dialogare con il management al livello in cui vengono prese le decisioni.

Quindi product owner non temere di affrontare nel tuo percorso l’ennesimo viaggio di scoperta. Entra nelle dinamiche del P&L; fatti aiutare dalla tua controparte business ed esplorate insieme come poter creare un impatto commerciale del prodotto senza precedenti.

Gestione degli stakeholder: partiamo dalla mappatura

Diciamo la verità: spesso come persone di prodotto non siamo i responsabili diretti dei team con cui lavoriamo, non dettiamo gli obiettivi di business né scaliamo gli organigrammi nelle tradizionali posizioni di potere.

Quella che può apparire a volte come una posizione scomoda, da cui è faticoso coinvolgere le altre persone negli sforzi che stiamo tentando di portare avanti, è in realtà un’ottima palestra per esercitare uno strumento straordinario nella nostra “cassetta degli attrezzi”: l’abilità di influenzare gli altri (qui abbiamo parlato della differenza tra influenzare e manipolare).

Ma chi sono questi “altri”? Parliamo di loro, i famosi stakeholder.

La gestione proattiva degli stakeholder

Gli stakeholder sono coloro che possono influenzare o essere influenzati dalle nostre attività e – più in generale – da un’organizzazione, una strategia o un progetto.
Gli stakeholder sono tutte le persone che hanno un interesse di qualsiasi tipo nel prodotto che stiamo realizzando.

Se vogliamo capire come gestirli al meglio dobbiamo mettere in atto le medesime pratiche che utilizziamo con i clienti finali (il cliente finale peraltro è uno dei nostri stakeholder!).
Partiamo dall’ovvio: sono persone prima di tutto! E come tali hanno necessità e bisogni specifici, così come solide opinioni su ciò che vogliono ottenere e ciò che farebbero al nostro posto. E’ nostro compito prima di tutto farci un’idea di questi presupposti e indagare cos’è per loro di valore.

Se ritenete che gestire gli stakeholder sia una delle tante attività che “vi tocca” portare avanti senza magari troppo entusiasmo in mezzo alle mille cose da fare, provate a cambiare prospettiva: costoro possono essere delle risorse incredibili per il raggiungimento dei vostri obiettivi.
Hanno conoscenza dell’organizzazione, della materia e dei clienti, mezzi, relazioni, esperienza su procedure, policy e molto altro.
Capite perché investire in questa relazione può essere molto vantaggioso oltre che rivelarsi particolarmente efficace per i vostri progetti?

Mappatura degli stakeholder: 3 esempi

Da dove si parte allora?
Come sapete uno dei principi della mentalità agile è proprio la consapevolezza che nasce dall’atto di visualizzare le attività: andremo quindi a creare per prima cosa una mappa degli stakeholder.
Per fare questo potete utilizzare strumenti di qualsiasi tipo – sono sufficienti anche carta e matita – e avete a disposizione vari tipi di rappresentazione.
Oggi ne esploreremo 3 diverse insieme.

Mappa degli attori

La mappa degli attori è a tutti gli effetti una mappa mentale.
Vi suggerisco di partire dal team di lavoro che è il diretto interessato perché ha a che fare con la realizzazione del prodotto giornalmente; a partire da questo ci si estende mano a mano a tutte le varie funzioni con cui il team interagisce, dall’interno dell’azienda fino all’esterno.
Fare questa attività di mappatura in gruppo può aiutare a individuare soggetti non ovvii.

Credits Mind The Product

La mappa degli attori funziona bene anche per attori esterni.
Il principio è sempre lo stesso: partire dagli attori più vicini – le core personas – ed estendere la rappresentazione.

In generale una modalità che si rivela particolarmente efficace è creare la mappa direttamente con gli stakeholder.

Onion Map

La mappatura “a cipolla” vi offre un altro tipo di “colpo d’occhio”.

Credits Mind The Product


In questo caso posizionate gli stakeholder in cerchi concentrici sempre a partire dal team di lavoro che ricade nel centro. Potete suddividere gli “strati” della cipolla in vari spicchi corrispondenti alle differenti funzioni aziendali.
A questo punto inserite le varie persone tenendo presente che non tutti gli strati devono necessariamente contenere un nome.

La onion map vi dà la possibilità di individuare eventuali buchi nella rappresentazione o aree che contengono troppi interlocutori.

Anche in questo caso potete rivedere la mappatura con gli stakeholder stessi e chiedervi perché li avete inseriti in quella posizione? Sono d’accordo sulla collocazione?
Se vi sentite a disagio all’idea di condividere questo schema con i diretti interessati chiedetevi perché. Evidentemente c’è qualche aspetto che deve ancora essere risolto…

RACI

Infine un grande classico della mappatura degli stakeholder: la matrice RACI. Ricordo quando in una vita precedente studiavo questa tabella per la certificazione PMI.

RACI è un acronimo che sta per:

  • responsible – colui che fa il lavoro
  • accountable – chi detiene l’ownership del risultato finale del lavoro; è un soggetto che ha potere decisionale e di veto sul prodotto / progetto
  • consulted – in questo cluster sono spesso collocati moltissimi stakeholder; sono coloro che devono essere consultati prima che siano prese le decisioni
  • informed – quelli che devono essere mantenuti aggiornati; l’area dove sono sempre presenti più persone.

Nell’esempio dell’immagine potete vedere come la realizzazione del prodotto viene segmentata in attività e come i diversi soggetti giocano un ruolo differente nei vari task.
La matrice RACI può avere questo livello di dettaglio o fermarsi al grado più alto indicando una persona singola come responsible o accountable dell’intero progetto (così è come gestivamo le roadmap in lastminute.com).

Tenete anche presente che, indipendentemente dallo strumento utilizzato, la mappa degli stakeholder non è una rappresentazione statica: va tenuta aggiornata perché cambia nel tempo.
Uno stakeholder vitale all’inizio di un progetto potrebbe essere poco interessato in fase finale e viceversa.

Coinvolgere gli stakeholder dall’inizio del progetto

Qualsiasi tipo di mappatura decidiate di usare il punto chiave è capire chi sono gli stakeholder, a cosa tengono veramente e che tipo di coinvolgimento devono avere nel progetto.

Per comprendere cosa li spinge adottiamo sempre la solita procedura: dobbiamo parlare direttamente con loro, dobbiamo intervistarli per comprendere quali sono le loro aspettative nei confronti del progetto, cosa vogliono ottenere, qual è il loro contesto, le sfide che vedono.
E per essere davvero efficaci dobbiamo fare in modo che questa conversazione avvenga presto, all’inizio e non alla fine del progetto.
E’ davvero una regola di buonsenso: già solo sedersi ed avere una conversazione assieme fa una grande differenza. E’ il primo step di una gestione proattiva e moltissimi non lo fanno.

Chiudo con un piccolo suggerimento che potrebbe sembrare controintuitivo ma si è rivelato utile in diverse occasioni: partite con il proposito di empatizzare, ma non date per scontato che il vostro interlocutore abbia sempre un intento positivo nei confronti del vostro progetto / prodotto.

Esplorate la reciprocità cercando di trasmettere cosa potete fare voi per loro e rimanete in ascolto. Se scoprite che ci sono disallineamenti tra di voi potete utilizzare ciò che avete appreso sulle aspettative dell’interlocutore per ricondurre la discussione sul terreno comune degli obiettivi.

Non esiste una formula magica; si tratta di sperimentare e cercare la giusta misura.
Ogni giorno con prove ed errori crescerete nella capacità di influenzare.

Un pomeriggio con Start with Why – il corso

Ebbene sì, l’ho fatto.
Mentre preparavo il post sul libro rivelazione di Simon Sinek ho consultato il suo sito e sono andata a sbirciare i corsi online. Inutile dire che ho trovato una marea di argomenti interessanti e mi sarei iscritta a metà della formazione disponibile.
A quel punto ho valutato che 25 dollari fossero un investimento irrisorio per un pomeriggio ben speso e mi sono iscritta a Start with Why – il corso.
Quindi oggi vi racconto com’è andata.

Devo dire che tempo fa avevo proposto ad un amico di fare una sessione comune per scoprire il nostro WHY ma poi è arrivata la pandemia che tutti ben conosciamo e non abbiamo più avuto l’occasione di incontrarci di persona. Poco male!
Quando finalmente ci rivedremo dal vivo potrò raccontargli com’è andata questa esperienza e sarò più preparata per fargli da spalla.
Intanto ho scoperto una cosa: è possibile fare questa sessione da remoto e funziona benissimo anche lavorando con sconosciuti.

Tutti pronti? Partiamo!

Materiali di lavoro: workbook e guida

L’iscrizione e l’erogazione della sessione avvengono online.

Start with Why – workbook del corso


Quando vi iscrivete al corso ed effettuate l’acquisto direttamente dal sito ricevete tutte le indicazioni, il link per il collegamento via Zoom e due documenti:

  • il workbook di Start with Why
  • la guida per essere un partner efficace

Il workbook contiene una traccia di ciò che viene fatto nel corso.
Ci sono alcuni “compiti a casa” che potete preparare in anticipo.
Vi si chiede di raccontare 3 storie:

  • una recente esperienza di lavoro o personale di cui avete amato far parte
  • una persona che ha influenzato ciò che siete diventati
  • un ricordo d’infanzia felice

A queste potete aggiungere qualsiasi altra storia vi venga in mente che vi sembri rilevante.
Non c’è troppo da pensarci su; scoprirete che qualsiasi cosa decidiate di scegliere come esempio racconta di voi più di quanto crediate.

La guida contiene una serie di indicazioni utili su come fare da spalla in maniera efficace in questo viaggio di scoperta del Perché.
In sostanza raccomanda un ascolto attivo e oggettivo del proprio partner, di fare domande aperte e di evitare – ironia della sorte – di chiedere il perché delle azioni altrui per evitare in qualsiasi modo di far sentire l’interlocutore giudicato.

Scopo del gioco

Lo scopo del gioco è trovare il significato in ogni storia, scavando non tanto nei fatti quanto piuttosto in ciò che la persona ha provato in quel momento e che significato ha avuto per lui quella particolare esperienza.
Ci facciamo raccontare cosa ha particolarmente amato di quel momento, perché è stato diverso da altri simili, in che modo lo ha influenzato nella persona che è diventata.

La dinamica del corso

Nella sessione di 2 ore a cui ho partecipato – un sabato pomeriggio per me – erano presenti 80 persone collegate dai luoghi più disparati della terra. Diciamo che ogni fuso orario era rappresentato.

Dopo una breve introduzione da parte dei formatori e la condivisione di un esempio su cosa si deve fare quando si ascolta una storia altrui si parte subito nel vivo.
Se preferite il classico corso in cui si prendono appunti vi dico subito che questa esperienza è per gente che “ama sporcarsi le mani”. E’ una sessione super-interattiva, un workshop e non un corso classico.

Come funziona? Fate coppia con un altro partecipante per tutte e due le ore del corso.
Si lavora sempre insieme: uno racconta le proprie storie, l’altro ascolta e prende nota, a turno.
Perché insieme? Perché è molto difficile auto-analizzarsi. Per questo “viaggio” abbiamo bisogno di un compagno, qualcuno che ci possa fare da specchio e sia in grado di cogliere i temi e i pattern che collegano le nostre storie.

Io mi sono presa del tempo prima per riflettere su queste esperienze e mi ero scritta una traccia dei racconti. Non pensavo sarei stata in grado di inventare sul momento, per cui ho preferito pensare bene in anticipo agli episodi che ritenevo rappresentativi.

La magia avviene nelle stanze

Che posso dirvi? E’ un’esperienza incredibile.
Ho fatto coppia con un ragazzo inglese che si trovava temporaneamente in Rwanda scoprendo poi che è un esperto di Human Centered Interaction e che ha lavorato in ideo.com (i casi della vita!).

Ci siamo raccontati le nostre reciproche storie ed ognuno di noi ha preso nota dei fatti, delle sensazioni e dei temi ricorrenti nelle esperienze narrate dall’altro.
Alla fine è incredibile come poco più di un’ora passata con uno sconosciuto a migliaia di chilometri di distanza consenta di far emergere il fil rouge che sottende la propria vita.

Abbiamo preso appunti sulle rispettive parole, concentrandoci prima sui fatti e poi sulle sensazioni dei momenti raccontati. Mano a mano che si rivelano le storie è possibile cogliere i temi comuni che sono presenti nei vari racconti.
Poi si comincia ad estrarre i verbi di azione (i contributi) e gli impatti, ovvero le conseguenze positive di queste azioni, ciò che si vuole ottenere non per sé ma in generale, per tutti.

Da qui nasce la bozza del WHY, che ha questa forma:
[verbo di azione] per [impatto]

Quando alla fine ci siamo letti reciprocamente i temi che avevamo rilevato nell’altro è stato illuminante. Entrambi abbiamo pensato: come ha potuto leggermi così bene in così poco tempo?

Cosa mi porto a casa da Start with Why – il corso

Se siete curiosi di scoprire il vostro Perché questa è un’esperienza che vi consiglio di fare.
Potete provare anche senza seguire il corso ma non potete prescindere dall’avere una spalla. L’altro è fondamentale per vedervi con occhi nuovi, privi di qualsiasi pregiudizio (questo è il motivo per cui tra l’altro sconsigliano di fare questo esercizio con persone troppo vicine come il proprio partner o gli amici).
L’altra persona vi aiuta in particolare a vedere gli impatti che altrimenti rischierebbero di rimarrebbero nascosti.

Sono grata di questa bella esperienza, penso sia stato uno dei pomeriggi più fruttuosi e soddisfacente da mesi a questa parte.

Alla fine sono soddisfatta del mio WHY? Molto!
Non è perfetto, devo ancora lavorarci su ma è una fantastica traccia da cui partire.
E’ in parte inaspettato e di grande ispirazione, caratteristica che me lo rende prezioso.
Ha a che fare con l’atto di connettere idee e persone, esercizio in cui mi riconosco moltissimo.

Vi lascio con il Perché di Simon Sinek, magari vi ispira a proseguire in questo percorso di scoperta …